Luka Doncic è irreale. Luka Magic, Luka Amazing. E’ il bello della pallacanestro che si fonde con l’utile. Perché in circolazione non c’è un altro giocatore così esteticamente piacevole, quanto concreto e generoso, completo sostanzialmente in ogni fondamentale: il tutto a 24 anni da compiere tra due mesi. Non ha il fisico di LeBron, che domani ne compie 38 (auguri Re): inutile fantasticare sul fatto che Luka ci possa regalare questa pallacanestro per altri 14 anni, perchè verosimilmente non sarà così. Ma anche 5-6, minimo sindacale se il destino lo terrà distante da infortuni gravi, sarebbero sufficienti per riscrivere determinate pagine della storia del basket.
Su un discorso, la parola fine è già molto vicina: Luka Doncic è già oggi, l’europeo più forte di sempre ad aver calcato un parquet. Per lo meno in NBA, una specifica che va a liberare il campo anche di chi preferisce l’Eurobasket: ah, ma il biondino di Lubiana due cosucce le ha insegnate anche lì… Quindi, come non detto. Non ci sono specifiche. Se fosse un rapper, sarebbe così: Lukaebbasta.
Eppure i margini per migliorare ci sono ancora: le percentuali sono perfezionabili, figlie probabilmente anche dell’altro aspetto collaterale di cui c’è da discutere. La squadra intorno a lui. Se Mark Cuban vuole tenersi stretto Luka, deve metterlo in condizione di avere una squadra da anello, dove può almeno dividersi la responsabilità con un altro giocatore all’altezza. Dove gli avversari possano avere preoccupazione di chi sta intorno, faticando ad applicare il raddoppio, unica strategia difensiva che (a volte) funziona su Doncic: se ne metto due sullo sloveno, lascio libero un tiratore… 3 sicuri, retina che si muove.
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A livello contrattuale non ci sono rischi: l’estensione salariale firmata solo 3 mesi fa, garantisce a Dallas il coltello dalla parte del manico fino al 2027. E Luka stesso, a livello di “volontà”, ha già fatto capire più volte come l’obiettivo sia di replicare proprio quanto fatto da Dirk Nowitzki, il primo europeo a vincere il titolo da MVP, nonché campione NBA nel 2011. Ma quel roster, allenato da Rick Carlisle, trovò una svolta nella postseason quasi insperata: 4-0 a ciò che rimaneva dei Lakers, 4-1 ad OKC. E persino 4-2 a Miami, quella Miami lì. Ma c’erano Jason Kidd e Jason Terry, Shawn Marion e Tyson Chandler. C’era vita eccome, oltre Dirk e oltre al sistema di gioco.
Da lì in poi, Dallas è sparita dalla cartina fino a questo Luka. Lo scorso anno è stato un’enorme occasione buttata, ma contro quel Curry c’era poco da fare. Quest’anno, nell’ovest più aperto che mai, essere sotto il 60% è al momento una sconfitta. L’esperimento Wood non sta oggettivamente funzionando, almeno non in toto. Bisogna inventarsi qualcosa al più presto. Perché Luka fa i miracoli, è vero. Ma a un certo punto non bastano più nemmeno quelli.