“Sto peggio adesso che sotto le bombe”: Roberto De Zerbi racconta il dramma. La guerra in Ucraina vista con gli occhi di chi l’ha vissuta
I bombardamenti, la popolazione in fuga, la paura: immagini che stanno riempiendo i nostri media tutti i giorni ma che Roberto De Zerbi ha vissuto in prima persona. Oggi ha raccontato tutto a ‘La Gazzetta dello Sport’, confessando il suo dramma.
“Non riesco a vedere altro, nemmeno le partite. Provo un grande vuoto. Sto peggio adesso dei giorni passati a Kiev sotto le bombe. Là c’era da fare: organizzare la fuga per noi e i giocatori, parlare con l’ambasciata. Qui non si può fare niente. Solo guardare. E sentire chi è ancora là”.
Racconta che un giocatore e un magazziniere del suo Shakhtar si sono arruolati anche se non stanno in prima linea e del suo gruppo sono tutti in salvo. Ma nessuno degli ucraini può lasciare il Paese e quindi è sempre un’incognita. Loro già a dicembre avevano cominciato a sospettare, ma li avevano rassicurati che non sarebbe successo nulla e invece adesso la situazione è drammatica.
Roberto De Zerbi racconta il dramma: tutto è precipitato in poche ore
Tutto è precipitato il giorno in cui si è giocata Manchester City-Tottenham. “Dovevamo sorvolare il Mar Nero, ma c’erano esercitazioni russe. Campanello d’allarme. Arriviamo a Kiev, ci fermiamo in hotel: non sono mai tornato a casa, avevo una brutta sensazione. Lunedì 21 Putin fa quella conferenza stampa pazzesca: cinico, prepotente, dice che l’Ucraina non ha senso di esistere, riconosce il Donbass e Lugansk. Comunque, pensavano tutti si fermasse lì”.
Il 23 mattina si sono allenati ma intanto avevano già una mappa con il piano per la fuga. Nel pomeriggio il messaggio dell’ambasciata che li invitata a lasciare l’Ucraina. E da lì in poi un’escalation, anche per salvaguardare tuti i giocatori. Il mattino dopo, alle 5 sono stati svegliati dalle esplosioni e tutto è stato chiaro.
“Il rischio era stare 3 giorni in coda, come ha fatto Fonseca, sul pullman con cui è partito il giorno dopo. Il rischio era che se non morivi di bomba o di fucile, rischiavi di morire di fame, di sete, di freddo. Così abbiamo convinto i brasiliani a non partire subito. Siamo rimasti chiusi in hotel da giovedì a domenica, dormendo al piano -1 dell’hotel, un centinaio di persone con i materassi in terra”.
Poi la fuga verso l’Ungheria, il pulmino del Ferencvaros che li ha portati a Budapest in aeroporto, in volo per Bergamo e la fine dell’incubo. Lui si preoccupa ancora per il club. “I brasiliani sono depressi, vorrebbero giocare. Qualche club mi ha chiamato per averli: mi ha dato fastidio. Ho avvertito i ragazzi: non sbagliate a firmare quando i vostri compagni sono sotto le bombe. Vi comportereste male”.