Ivan Juric ha giganteggiato nella settimana più folle e disastrosa nella storia recente della Roma. La figura del nuovo allenatore giallorosso è ancora più importante, secondo me, dopo l’ultimo colpo di scena, ovvero il comunicato a firma Dan e Ryan Friedkin. I Friedkin scrivono, non parlano. Un comunicato che alimenta ancor di più i dubbi sull’esonero di De Rossi e quelli sulla gestione della società, al di là delle parole sui tifosi, sul mercato, sugli obiettivi, al di là delle rassicurazioni dopo aver acquistato l’Everton. De Rossi per i Friedkin è semplicemente Daniele come lo è per tutti i tifosi e chiamandolo così dimostrano empatia e affetto. Quindi mi viene da pensare che non sia successo nulla di grave. Quindi è stato un esonero di campo. Ma, chiedo, come fai a cacciare un allenatore per motivi di campo dopo che gli hai rinnovato il contratto per 3 anni e dopo che hai constatato che tutta la squadra è dalla sua parte? Dal comunicato si evince che Daniele, che diventerà un grande allenatore, è stato cacciato perché con lui non si poteva puntare a vincere trofei. Tutto questo dopo quattro giornate. La ciliegina sulla torta del caos è quel “magari un giorno tornerà alla Roma” che dall’esterno per come sono andate le cose sembra impossibile fin quando ci sarà questa proprietà. La Roma continua a sembrare un’allucinazione collettiva, per usare le due parole più in voga nelle ultime ore. Ecco in questo maremoto di dubbi ho due certezze. La prima è Juric e non lo dico per la vittoria sull’Udinese. Il campo voglio metterlo da parte. La sua era la posizione più difficile e scomoda, per il clima dell’Olimpico e per il clima che aveva intorno visto che tutti volevano la permanenza di DDR. Juric ha dimostrato un rispetto mostruoso per il suo predecessore, per i giocatori e per la piazza. E’ entrato in punta di piedi, la sua conferenza pre partita e quella post mi hanno fatto impazzire per la “dolcezza” delle sue parole nei confronti di De Rossi. Per questo quando esultava domenica ai gol mi ha fatto quasi tenerezza. L’altra mia certezza è la fascia di capitano che non vuol dire gettare la croce su Lorenzo Pellegrini. Ma un Capitano (scritto con la maiuscola apposta) nel momento più difficile deve avere il coraggio di metterci la faccia. Un Capitano non può abbassare leggermente il finestrino per poi ritirarlo su senza rispondere ai tifosi che chiedevano spiegazioni appena dopo lo shock dell’esonero di DDR. Non deve essere un obbligo, né una regola, ma ci sono momenti in cui va fatto e in quel caso andava fatto. E’ troppo facile andare sotto la curva a prendersi i fischi e poi dire ai compagni di squadra “andiamo va”. Per me Pellegrini deve prendersi una pausa di riflessione dalla fascia. Perché i tifosi lo hanno preso di mira e perché magari gli può servire a ritrovare anche la tranquillità perduta.