La luce di taglio del tramonto berlinese che ha colto i volti degli azzurri fermi in mezzo al campo dell’Olympiastadion a godere della presenza maestosa del gigante attorno a loro, potrebbe un giorno per alcuni di loro essere ricordata come quella penombra del crepuscolo che ha segnato il momento di passaggio tra la giovinezza e l’età adulta del loro percorso nel calcio.
Certo non per i Donnarumma, Barella, Chiesa o Mancini, insomma per gli eroi di Wembley, che hanno già respirato il profumo dell’epica. Ma per questa Italia come squadra, come gruppo, ovvero una cosa totalmente differente dopo l’elevazione in Inghilterra e la distruzione in Qatar, per questa Nazionale questa sera a Berlino può essere il passaggio della propria linea d’ombra.
La Svizzera né come squadra né come mistica può essere paragonabile a quanto successe il 9 luglio 2006, ma anche quella Nazionale divenne grande prima di essere Grande, nell’ultima partita della fase a gruppi ad Amburgo contro la Rep. Ceca.
Questa squadra avrà la spinta emozionale dell’eredità dei nostri padri, per diventare quello che ancora non è. Ma la Svizzera è la perfetta rappresentante di questo Europeo: qualità limitata ma grande corsa, grande intensità, e capacità di essere nella partita fino all’ultimo minuto.
E’ in questo tempo che viviamo, ed è in questo tempo che dobbiamo vivere se non vogliamo morire (sportivamente). Dunque è lì che dobbiamo crescere: intensità e agonismo, spirito di sacrificio e di dedizione umile, senza orpelli ma badando a ciò che è utile.
Spalletti ha scelto il 4-3-3, terzo modulo diverso dall’inizio in quattro partite di un torneo, un record. Ci sono Mancini e Darmian per Calafiori squalificato e Dimarco infortunato, e si può capire. C’è Cristante per Pellegrini, ed è saggio. C’è Scamacca per Retegui, ed è comprensibile. La sorpresa oltre al modulo è la presenza quasi sicuramente di El Shaarawy e non Zaccagni, uomo di sapienza e sacrificio tattico per dare superiorità ai due reparti, come da mossa decisiva nel derby di Europa League con il Milan.
Ma il 3-4-2-1 svizzero è veleno: lascia il pallone per rubarlo con pressing alto poco oltre la linea di centrocampo, verticalizzazione furiosa, difende compatta in blocco, raddoppia e libera soprattutto Aebischer tra le linee a fare saltare gli schemi (pane per Cristante), e Ndoye sciogliendo la sua capacità di tiro come mai si è visto al Bologna.
L’Italia non dovrà tenere il pallone per tenerlo, dovrà irretire l’avversario per stanarlo e farlo uscire, e dargli la stessa medicina svizzera. Vince chi avrà la lucidità di fare quello che è giusto fare.
Che è un po’ quello che succede quando si diventa grandi.