Rivedi qui l’intervista di Sportitalia a Kaylyn Kyle:
L’espansione e la crescita del calcio nordamericano riguarda anche il Canada, anche se oggi i risultati non regalano grande credito alla squadra affidata, solo poche settimane fa, all’ex tecnico del Leeds Jesse Marsch. Rimane ancora una Nazionale lontana dal livello raggiunto dai rivali degli Stati Uniti: una sola volta il Canada è stato capace di vincere la Concacaf Gold Cup, ma gli zero punti raccolti nel girone al Mondiale in Qatar possono trarre in inganno, bisogna considerare che il fatto in sé che sia arrivata una qualificazione dopo più di 36 anni abbia un valore, per dire: il gol fatto nell’1 a 4 contro la Croazia da Davies, è stato anche il primo della storia nella manifestazione.
Sono sempre di più i talenti in rampa di lancio capaci di affermarsi anche in Europa. Jonathan David ed Alphonso Davies sono le star assolute, alle loro spalle gli italiani stanno imparando a conoscere l’interista Tajon Buchanan. Ma con quali aspettative la squadra di Marsch arriva alla Copa America 2024?
Ne abbiamo parlato in esclusiva con Kaylyn Kyle, ex storica calciatrice dei Canucks, che ha raggiunto e superato le 100 presenze in Nazionale, anche grazie alla fiducia che inizialmente Carolina Morace, allora CT, le diede nonostante avesse solamente 20 anni, nel 2008. Ha partecipato a due Coppe del Mondo, vincendo la medaglia di bronzo ai Giochi Olimpici di Londra, nel 2012. Oggi lavora per la MLS Season Pass di Apple TV (la piattaforma dove è possibile seguire il campionato statunitense).
Guardando i Mondiali Under 19 che tanto ti ispirarono, con i tuoi genitori a 12 anni, ti saresti mai aspettata di diventare pochi anni dopo una di quelle giocatrici?
“Sono stata molto, molto fortunata a crescere in una famiglia dove mio padre era un giocatore di hockey professionista. Ero sempre nei campi d’allenamento circondata da atleti di alto livello. Insomma sapevo che mentalità avessero i professionisti. Non pensavo che lo sarei diventata nel calcio, magari nella ginnastica, o nei tuffi, perché adoro le Olimpiadi. Che allora non avevano il calcio”.
E poi?
“Diventai troppo alta per per la ginnastica o per i tuffi. Iniziai a giocare a calcio con i ragazzi al parco e me ne innamorai. Ero una ragazza piena di energia e quello era l’unico sport nel quale mi concentravo appieno. Iniziai nelle football academies per crescere nel modo giusto. Io arrivo da una piccola città, di Saskatoon, in Saskatchewan, dove è inverno per la maggior parte dell’anno, tipo 8 mesi su 12 (ride, n.d..r). Facevo un sacco di allenamenti al chiuso, calcio a 5, il che mi ha aiutato nella tecnica. Poi mi sono trasferita, a Vancouver, in età davvero giovane, per continuare la mia carriera. Sapevo di voler diventare professionista. Lo capii guardando quella partita del Canada al Mondiale Under 19 che hai appena menzionato. Ho chiesto i biglietti ai miei genitori, innamorandomi di questo sport. In Canada non avevamo mai avuto qualcosa di simile, non si vedeva in televisione, giusto i Mondiali ogni 4 anni. Non la vedevo come una cosa fattibile insomma. Beh, 35 anni dopo ho fatto tutto (ride, n.d.r.)”.
Fu un’allenatrice italiana, Carolina Morace, la prima a darti una possibilità ad un Mondiale. Quanto è stata importante per te?
“Ha avuto un’importanza enorme. E’ stata fantastica per me, perché mi ha portata fuori dalla mia zona di comfort. In Canada tutto ciò che facevamo era basato intorno al Canada stesso. Lei ha trasferito la nostra squadra letteralmente a Roma, ho vissuto lì per un anno. E non volevo trasferirmi, ma poi non volevo più tornare indietro perché mi innamorai degli italiani, del cibo, della cultura, del vino, della pizza, della pasta, del gelato. Il cibo è fenomenale. Ma soprattutto c’erano i suoi allenamenti. Erano qualcosa che non avevo mai provato. Perché in Canada noi puntiamo sulla forza, sulla potenza, ma in Italia…”.
Che differenze c’erano?
“In Italia dicevano: noi difendiamo, certo, ma siamo anche tatticamente una delle migliori squadre del mondo da così tanto tempo, parlando della squadra maschile. Per lei quindi non era solo una questione di potenza, ma soprattutto di ritmo, esplosività, conoscenza tattica, tocco di palla. Le devo tutto e poi è stata lei a darmi la mia prima chance in una Coppa del Mondo, facendomi giocare dal primo minuto in Germania davanti a 67mila persone. Sono ancora in contatto con lei, ci scambiamo messaggi su Instagram, fra congratulazioni e auguri”.
Che ne pensi della scelta della Federazione Canadese di assumere un nuovo allenatore a poche settimane dall’inizio della Copa America?
“Jesse Marsch è stato un calciatore, prima di tutto ed è molto difficile diventare allenatori di successo dopo essere stati giocatori, perché è diverso. Da calciatore sei abituato ad avere programmi e allenamenti da fare e tutte le cose tecniche, dallo staff. Lui ha fatto secondo me un lavoro incredibile, pienamente riconosciuto. Sia in Europa che in MLS. Ma la cosa che mi piace davvero è un’altra”.
Quale?
“Che se guardi alla nostra squadra, questa è una generazione unica, penso sia la miglior squadra che abbiamo mai avuto. Senza voler mancare di rispetto a nessuno dei giocatori del passato, ma Alphonso Davies ha vinto la Champions League ed ora dicono possa andare al Real Madrid. Una volta non avevamo nemmeno dei canadesi che giocassero davvero nei top club d’Europa. Ne avevamo magari nelle serie minori in Bundesliga. Cyle Larin ha giocato in MLS, vincendo con l’Orlando City, è passato in Turchia al Besiktas, ora è al Maiorca in Liga. Se guardi il calibro dei giocatori, sono giovani, con grande talento ed hanno quella esperienza che serve. Ed ora hai un allenatore che ha avuto quella stessa esperienza come giocatore”.
Cosa vi aspettate che porti a questa squadra?
“John Herdman era fantastico per la squadra, ha riparato quelle crepe che c’erano rimettendo insieme i cocci. Ha posto le basi per la rifondazione. Jesse Marsch implementerà il tutto con uno stile davvero… cool! Porterà per esempio quel tipo di pressing alto che si vede in Europa, il gioco da dietro: abbiamo i giocatori per farlo e lui lo faceva vedere al Leeds. Così come i suoi metodi di lavoro. Sono molto contenta del suo arrivo”.
A proposito dei giovani di talento: che ne pensi di Buchanan?
“E’ un calciatore fantastico, ma è una persona ancora migliore fuori dal campo. La sua storia è incredibile. E’ un lavoratore assiduo, ama questo sport, sinceramente. Ed io amo vedere i giocatori uscire dalla loro zona di comfort. C’era una squadra qui che lo voleva, altre gli avrebbero dato la possibilità di rimanere dov’era in Belgio, ma lui era orientato a testarsi in una dei migliori campionati ed in una delle migliori squadre del mondo. Perché poi giocare all’Inter… c’è pressione lì a Milano! Quando non fai bene, la pressione la senti. Poi lo conosco fuori dal campo”.
E com’è, fuori dal campo?
“Lui è timido, non è estroverso, non è un ragazzo da party e feste. Lui è più tipo da allenamenti, cura del proprio corpo, da tornare a casa a guardare calcio in tv. Insomma vedere uno come lui sbocciare è davvero entusiasmante. Perché poi la cosa più importante è che un calciatore così talentuoso. Tecnicamente, tatticamente, a livello di ritmo, di uno contro uno. Io sono di parte perché amo la Serie A, ma davvero è bellissimo vederlo misurarsi lì”.
Alphonso Davies è il simbolo iconico di questa squadra?
“Sì, è senz’altro così. A parte che penso che tu possa schierarlo ovunque tu voglia in campo. Difensore, esterno, anche attaccante. Ha fatto il primo gol della storia del Canada ad un Mondiale. E’ una celebrità. E’ come se potesse camminare sull’acqua per noi. Poi è amico di Drake, di tutte queste grandi celebrità, ma al contempo è anche il ragazzo genuino della porta accanto. Un’altra gran bella storia la sua. Arrivato dal Canada, partendo dal Vancouver Whitecaps dove sono passata anche io, da lì è cresciuto. Forse non quest’anno, ma nei due passati è stato per me fra i migliori esterni di tutti, nella vittoria della Champions League è stato incredibile. Ha avuto un paio di infortuni prima di riconquistare il posto da titolare, ma se davvero andrà al Real Madrid, non solo rimetterà ancora una volta il Canada nella mappa del calcio, ma dimostrerà che i calciatori canadesi possono essere presi sul serio in Europa”.
Parliamo della crescita del Canada, ma il gruppo con Argentina, Perù e Cile sarà davvero complicato da superare, non credi?
“Jesse Marsch ha il lavoro ritagliato perfetto per lui. Come amichevoli tanto per iniziare ha avuto Olanda e Francia, due delle migliori 10 squadre nel mondo (ride n.d.r.). Poi toccherà ad Argentina, Perù e Cile. Partiamo delle ultime”.
Prego.
“Beh: ho avuto la fortuna di essere match analyst per il torneo di qualificazione ai Mondiali nel 2022 ed è stata una grande esperienza, perché ti ritrovi in questi Paesi dove, esattamente come dicevo per l’Italia, le persone davvero ti supportano. Sono posti pazzeschi in cui andare a giocare, i tifosi sono spietati, i fuochi d’artificio, l’atmosfera, il non lasciare che la squadra avversaria dorma. Del Perù mi piace che abbiano molti giovani in rampa di lancio, che possono arrivare a dare ciò che non sono riusciti a fare i più esperti nelle qualificazioni al Mondiale. Lo stesso vale per il Cile. Una squadra giovane, affamata, piena di talento, sanno come vincere”.
E poi c’è l’Argentina…
“L’Argentina ha appena vinto il Mondiale. Messi non accenna a rallentare il proprio ritmo in MLS. Insomma, un gruppo davvero difficile per il Canada, ma hey: abbiamo i giocatori ora, abbiamo l’allenatore giusto. Incrociamo le dita (ride, n.d.r.)”.
Il calcio femminile in Italia saprà crescere quanto ha fatto in altre parti del mondo?
“Dico solo una cosa. Ho vissuto lì nel 2010 ed allora non c’era alcun campionato professionistico per le donne. C’era solo un campionato semiprofessionistico, abbiamo assistito ad alcune partite. I campi erano terribili. Va detto che qualche anno dopo voi italiani siete stati promotori della creazione di un campionato professionistico femminile. Per dire: il Canada ancora non ne ha uno. E’ folle pensarci. Come puoi crescere come calciatrice? Hai bisogno di un campionato nazionale, di essere pagata. Quando sei un calciatore, vuoi giocare in un paese dove si respiri calcio, dove la gente sogni il calcio. Questo succede quando sei in Italia. Lentamente questo cambiamento lo stiamo vedendo da voi, in Spagna. La Francia è sempre stata in prima linea, poi penso a Germania, Norvegia. Chiaramente quando nascono questi campionati, non possiamo aspettarci che sia tutto perfetto. Serve tempo e poi che piano piano arrivino le televisioni, che la gente riempa gli stadi. Non succederà da un giorno all’altro, ma guardo il campionato femminile e vedo esprimere un bellissimo spettacolo”.