C’è un calcio che ci rappresenta meglio e un altro che ci rappresenta meno. Non è un delitto ammetterlo, non è lesa maestà dire che non ci piace come gioca il Real Madrid di Ancelotti. Nessuna offesa criticare un Gasperini ineccepibile sul piano delle prestazioni (calcio che ci piace), ma meno sul piano dei risultati. Al primo trofeo saremo i primi ad applaudire il tecnico dell’Atalanta.
Affermare con spirito costruttivo che Italiano deve essere più continuo per vincere e meno zemaniano nel modo di subire i gol ci sta. Così come smantellare la letteratura dolciaria attorno a De Zerbi diventato guru senza aver fatto alcun miracolo. La suscettibilità si scatena ai massimi livelli addirittura davanti a fiaschi consolidati come quello di Allegri (in rapporto alla storia della Juve) e di Pioli (in rapporto alla storia del Milan). Le regole di questo “gioco” non le abbiamo inventate noi. Si chiama diritto di critica. C’è chi ne abusa indubbiamente e chi invece se lo dimentica per utilizzare un pennello come prolunga della lingua. Entrambe le questioni ci interessano poco. Dire ciò che si pensa è la ricetta migliore. E dunque torniamo alla piacevole distinzione sacchiana fra allenatori “tattici” e allenatori “strateghi”. Che cosa è diventato Ancelotti? Si dirà uno stratega. Benissimo, allora ridateci il tattico se il prezzo da pagare è la sottomissione dell’allenatore alla bravura (da incensare) del giocatore. Qui c’è ben poco di sacchiano. Ricordate il duello con Van Basten? O me o lui disse l’uomo di Fusignano: Berlusconi scelse entrambi. O me o lui disse anche Gasperini a proposito di Papu Gomez e Percassi scelse l’uomo di Grugliasco. Ma farebbe altrettanto De Laurentiis se Gasperini gli ponesse lo stesso diktat su Kvara? Riteniamo di no. In questo caso meglio un uomo più duttile come Pioli in grado di governare con maggior compromesso. E come lo vedete Allegri difeso dalla curva della Juve? Puro masochismo quando non si sa più da che parte stare e le ragioni del dissenso nascondono da incomprensioni verso la società. Questo è il calcio. Basta farsene una ragione. Gli allenatori vanno e vengono, ma non sono mai stati così importanti come adesso. L’importante è non farsene una malattia o, peggio, un’amicizia. Si rischierebbe di fare la fine di Mou. Klopp lo adorano tutti perché ama i giocatori, ma ama anche i tifosi e ne comprende le ragioni. La bravura non sta nel dire: i bravi allenatori sono quelli che non fanno danni. Troppo banale, troppo scontato ma soprattutto falso. Ci sono altri metodi per arruffianarsi i giocatori e mettere dietro le quinte la figura del tecnico. Per esempio basterebbe spiegare calcio con semplicità come fanno Spalletti e De Rossi e come non fanno Allegri e Ancelotti. Sì, certo, falsa modestia ma avere l’umiltà di comprendere che tutto intorno c’è un mondo che ne sa molto di più di prima non sarebbe male. E in ogni caso, in questa epoca, sono gli allenatori che stanno determinando i risultati e molto meno i giocatori. Questa è la vera rivoluzione.
Paolo De Paola