Il 1 maggio del 1994 e quel tragico incidente alla curva del Tamburello durante il Gp di Imola, hanno lasciato in eredità un’istantanea indelebile nella memoria di chi ha amato e ama ancora oggi la Formula 1 e il motorsport in generale. Una porzione di universo con la sua irrisolvibile vocazione per la velocità, che diventa condanna, indiretta, di una passione che non riconosce e prova, costantemente, a superare i limiti della razionalità.
Quel 1 maggio 1994, in quella calda domenica destinata suo malgrado ai libri di storia, si spense per sempre la luce di un campione divenuto ricordo immortale. Ayrton Senna ci lasciava, a 34 anni, troppo presto e senza preavviso, con l’assordante necessità di un vuoto da colmare che ancora e dopo trent’anni non trova la sua giusta compensazione.
Di Ayrton Senna fino a quel momento e da quel maledetto 1 maggio 1994 in poi si è parlato, scritto e detto tanto, forse troppo. Si è cercato di immaginare un destino diverso, forzatamente incapace di accettare la tragedia sportiva che quello schianto ha consegnato ad un’intera generazione.
Di Ayrton Senna, per molti, è sembrato poter accarezzare le imprese al volante, pur senza avere la possibilità di riviverle con il giusto coinvolgimento. Senna era l’incarnazione stessa di un pensiero meraviglioso, nato e divenuto grande. L’ingovernabile capacità di non porre limiti al talento.
L’assoluta devozione per Dio, il suo sorriso naturale e la sua vulnerabile umanità, ogni angolo della vita di questo ragazzo di San Paolo era diventato immagine quotidiana per milioni di tifosi, in ogni angolo del mondo, stregati dal fatto di riconoscere così tanta familiarità nei contorni del più consacrato degli eroi moderni.
Ce ne sono stati di grandissimi prima di lui, così come altrettanti ne sono seguiti e ne seguiranno, ma Ayrton Senna era e rimarrà per sempre unico.
Non ci sarà mai un nuovo Ayrton Senna, e non varrà neanche la pena cercarlo, perché questo non renderebbe onore ad un mito che come pochi merita di essere considerato tale. Un privilegio per chi ha avuto occasione di viverlo. Un rimpianto, probabilmente il più grande, per chi ancora oggi e dopo trenta lunghissimi anni prova a raccontarlo.