La vicenda scommesse non riguarda solo il calcio, è uno spaccato della società italiana. Chi non vedeva l’ora di vomitare il proprio odio nei confronti di un mondo “ricco e arrogante”, chi non aspettava altro per bollare come ludopatici giovani, probabilmente vittime di un disagio sociale dopo la pandemia, chi, infine, complottista incallito, ha certamente immaginato partite truccate e raggiri ai danni della squadra per cui tifa. Tanta, ma tantissima ipocrisia. Appena il pallone tornerà a rotolare per il campionato, ciascuno rientrerà all’ovile di una passione che non può essere modificata o mortificata da nessuno scandalo. Le condanne già emesse rientreranno con fastidio, le accuse saranno smorzate da accurate tesi difensive. Non è importante il numero dei giocatori coinvolti, né le rivelazioni, a rate, di improbabili personaggi con il dente avvelenato verso i calciatori. Qui è fondamentale capire le dimensioni della vicenda e i confini sociali del fenomeno che riguarda principalmente delle persone sofferenti, non dei bambini viziati. E poi c’è il filone della malavita che apre completamente un altro discorso sul quale si indaga da tempo e che spesso si è arenato nel nulla. Si parla di affari per più di 25 miliardi, una fetta colossale di introiti mancati per lo Stato. È questo il punto cruciale e non condannare questo o quel giocatore appartenente alla squadra “nemica”. Far finta di sapere, da lungo tempo, che questa vicenda attanaglia il calcio non aiuta a svelare il merito delle cose che accadono. Sappiamo, con certezza, che i calciatori hanno tutti effettuato scommesse sulla propria disciplina? No. Ancora peggio: abbiamo la sicurezza che hanno puntato su partite in cui erano coinvolti personalmente? No. E allora finiamola con questi processi da bar. Il calcio ha bisogno di serietà. E un atteggiamento più serio dovrebbe coinvolgere sia le cariche istituzionali, sia le persone che hanno il dovere di agire con responsabilità. Un argomento così delicato non può trasformarsi in un mercante in fiera, con tanto di banditore che annuncia le carte bruciate. Anche la magistratura avrebbe il dovere di intervenire sullo squallido teatrino parallelo che non ha nulla a che vedere con un’informazione seria. Qui ci rimettono tutti e un intero Paese non può trasformarsi improvvisamente in un tribunale popolare perché a nessuno viene in mente di agire con cautela e rispetto della verità. Ma quando la smetteremo di urlare per ogni oscenità costruita come un castello di sabbia in base alla morale del momento? Ma davvero siamo questo? Esasperati, esagerati, fintamente scandalizzati salvo poi accorgersi tardivamente dell’inutile polverone sollevato. Sbattiamo Fagioli sul banco degli imputati per poi lasciar trapelare, senza alcun rispetto per la persona, che dietro potrebbe esserci un disagio sociale sfociato in autentica patologia. Sbranare immediatamente la vittima è più importante del senso di colpa che scaturisce dall’esagerazione. Questo è veramente vergognoso. Riflettete, voi che alzate il dito accusatorio precedendo la giustizia che si affanna a tappare le tante falle di un sistema sbagliato. Quando l’onda di maremoto passerà sarà difficile raccogliere i cocci di quel che rimarrà.
Paolo De Paola