Gira gira tanto torni qua: quante volte avrà cantato Ligabue “Lamrbusco & Popcorn” a San Siro, e il refrain finale sembra adattarsi perfettamente alla storia dello stadio. Nell’assurdità della politica italiana che non ti vende gli impianti, foss’anche legandoli a vincoli ambientali e architettonici; e nel gioco delle tre carte delle società che chiedono terreni per costruire stadi, ma in verità pensano solo a grimaldelli per costruirci attorno palazzi da rivendersi; finisce che dopo anni forse si torna al via. Il Comune di Milano ha giustamente voluto proteggere l’unicità e lo splendore architettonico di San Siro, ma è anche vero che non puoi pretendere che venga tutelato se non concedi almeno la proprietà ai club e un po’ di mano libera sull’edificazione attorno. E allora dopo anni in cui le tre parti hanno escluso categoricamente che in una maniera o nell’altra si potesse rimanere a San Siro, ecco che invece giro di vite improvviso e il Comune diventa possibilista su concedere la proprietà dello stadio purché ne venga tutelata la sostanziale integrità: un passo importante per evitare la spesa di gestione di 10 milioni all’anno, e scongiurare la fuga di almeno uno se non entrambi i club a Rozzano e San Donato. In fondo 10 milioni all’anno per un club sono la spesa per un centrocampista mediocre, e ancora meno se lo si divide. E i club che avevano sempre parlato di San Siro al passato, adesso in verità non escludono più la possibilità, ma state certi che per fare il favore al Comune di sollevarlo dallo spettro di 10 milioni di € all’anno da spendere, chiederanno in cambio edificabilità attorno. Speriamo non siano ingordi. In fondo a noi tifosi interessa solo che non venga rovinato il capolavoro del Novecento che è San Siro, brand di stadio assolutamente senza pari al mondo. Poi se vogliono costruire attorno che facciano, senza pretendere l'impossibile. L’Inter per ora sembra più incline, ma anche il Milan lo considera: anche se va sempre ricordato che per il business orchestrato da Cardinale in fase di acquisto della società, il nuovo stadio è fondamentale anche in ottica di cessione della proprietà in futuro, quindi è quello il problema principale del Milan.
A proposito di futuro, il minestrone del Mondiale 2030 apparecchiato dalla Fifa aveva un obiettivo principale: lasciare campo libero all’Arabia Saudita per il 2034. Coinvolgendo Spagna-Portogallo-Marocco per l’organizzazione, e Uruguay-Argentina-Paraguay per l’inaugurazione, si sono smarcate in un solo colpo le confederazioni europea, africana e sudamericana, che così non potranno più candidarsi per il 2034, mentre la nordamericana avrà organizzato nel 2026. Rimangono quella asiatica e quella oceanica. L’Australia è interessata a candidarsi: come no australiani, magnate tranquilli…
Il Mondiale 2034 in Arabia Saudita significa solo una cosa: che quello a cui abbiamo assistito la scorsa estate in termini di monopolio del mercato da parte degli arabi è solo l’inizio: la Saudi Premier League comanderà sul mercato per i prossimi 10 anni, perché bisogna accompagnare l’evento.
Del resto era già tutto chiaro: c’era l’Arabia Saudita dietro le banche d’affari americane che finanziavano la SuperLega, e il progetto era creare appunto una lega deluxa poi da trasportare in massa in Arabia, con i club che avrebbero fatto avanti e indietro tra Europa e Medio Oriente. Poi c'è stato Il tentativo numero 2 di opa sul calcio dopo il tentativo numero 1, cioè il Mondiale per Club a 32 squadre comprato a scatola chiusa da giocarsi ogni anno, progetto a cui la Fifa aveva già detto sì e che fu cassato da Uefa e Conmebol viste le condizioni assurde (ovvero: 1) non vi riveliamo i finanziatori fino alla firma; 2) avete una settimana per accettare la cessione per i prossimi 10 anni).
Adesso il campo è largo e chiaro: prepariamoci a un calciomercato sulle barricate.