Manca più di una settimana, ma non c'è altra partita in grado di catalizzare l'attenzione dell'uditorio del nostro paese come il Derby di Milano. Vuoi perchè si tratterà del primo faccia a faccia tra le due milanesi dopo la doppia sfida di Champions League della scorsa primavera, con tutto ciò che il confronto diretto ha generato rispetto ad aspettative e voglia di rivincita. Vuoi perchè realisticamente il duello cittadino si ripercuoterà per tutta la durata del torneo sino a determinarne il vincitore.
Perlomeno questa è la prima impressione che la Serie A ha fornito in queste tre giornate d'esordio: partite in cui Inter e Milan hanno palesato una prontezza ed una brillantezza che le altre contendenti al titolo ancora non sono state in grado di estrarre dal proprio cilindro.
Il merito va al lavoro svolto dai rispettivi management in estate, ma è da condividere con le guide tecniche che hanno accompagnato lo sviluppo del cantiere con una pressione educata ma costante che ha contribuito alla costruzione di due creature competitive e complete già dai primi vagiti della stagione in corso.
Chi produce l'equazione “non sbatte i pugni sul tavolo, quindi si fa andare bene qualsiasi cosa” genera anche un assoluto falso storico se fatto aderire alla maniera con la quale Stefano Pioli e Simone Inzaghi si rapportano ai rispettivi gruppi di lavoro dirigenziali. Entrambi sono certamente “aziendalisti” ma nel senso più stretto dell'etimologia del vocabolo: “sostengono gli interessi della loro azienda, mostrandone attaccamento ed appartenenza”, e soprattutto valorizzandola.
Anche per questo motivo l'estate si è portata dietro almeno un paio di momenti ad alta tensione, gestiti però senza far deflagrare il fuoco della polemica e soprattutto senza alzare ulteriormente un livello di pressione già sufficientemente elevato su entrambi i lati della città.
Nel caso del Milan, c'è stato un grande lavoro di Pioli soprattutto nella rincorsa a Reijnders. Era l'olandese il profilo che il tecnico più degli altri aveva identificato come assolutamente ideale per conferire qualità nuove alla propria linea mediana, ed anche per questo motivo il tecnico del Milan è stato parte integrante molto attiva dell'affare con una sequenza di confronti via “zoom” con l'ex centrocampista dell'AZ che lo hanno infine convinto che in nessun'altra destinazione avrebbe avuto un abito tattico cucito su misura in maniera così perfetta come quello a tinte rossonere.
Nel caso dell'Inter invece è stato Pavard il giocatore che Inzaghi ha identificato come quello imprescindibile per poter valorizzare i propri meccanismi di gioco portandoli su di un livello ancora più alto. A differenza di Reijnders, nel caso del francese manca ancora la riprova del campo, ma il pedigree dell'ex Bayern Monaco parla per lui, ed immaginarsi un interprete di questo livello in un contesto tattico già molto moderno come quello interista, apre a possibilità sin qui inesplorate di partecipazione collettiva alla manovra offensiva che avvicinerebbero ancora di più i nerazzurri al gotha del calcio continentale. Del resto, 30 milioni più bonus da parte di un club con la situazione economica dell'Inter, non si bonificano per caso.
Curiosità anche per i colpi della Deadline, con Klaassen che ha la pulizia tecnica per potersi inserire nell'orchestra nerazzurra e soprattutto con Jovic che a nostro modo di vedere identifica il più efficace dei piani alternativi. Astraendosi dalla fattispecie, ed immaginando un club che cerca un attaccante e che dopo avere cambiato obiettivo cerca un approccio con almeno altre due soluzioni di riserva, risulta difficile immaginare di riuscire a portare nella propria rosa un centravanti passato dal Real Madrid, reduce da una stagione nel nostro campionato che al di là delle aspettative di partenza si è portata comunque in dote 13 reti segnate in tutte le competizioni disputate. Non solo poteva andare peggio, ma non è nemmeno detto che alla fine si guardi con rammarico alle evoluzioni repentine di quel venerdì di inizio settembre. La prima riprova dei fatti, del resto, potrebbe non tardare troppo a verificarsi: il problema occorso a Giroud potrebbe regalare all'ex Fiorentina l'occasione più ghiotta per presentarsi da idolo ai suoi nuovi tifosi.
In chiusura, un approfondimento su Gasperini dopo il tiro al bersaglio di cui il tecnico dell'Atalanta è stato oggetto (e non vittima) nel corso dell'ultima settimana. Chi ne mette in discussione i metodi, semplicemente si sbaglia. E la considerazione non è affatto opinabile, come dimostrano in maniera inequivocabile i risultati che il campo ha restituito al tecnico dell'Atalanta. E badate bene, per risultati non intendiamo trofei o qualificazioni ed obiettivi di squadra centrati, quanto piuttosto la valorizzazione dei singoli attraverso lo sviluppo di un collettivo funzionante in maniera indipendente dagli interpreti coinvolti.
Lo spirito critico, e non è un caso, è stato sfoderato o da calciatori che poi hanno lasciato Bergamo dopo uno scontro, ma senza avere più riprodotto altrove il livello di rendimento dei tempi atalantini (leggi Papu Gomez), o ancora da chi ha fallito l'appuntamento con il grande salto anche dopo essere passato da Zingonia. Impresa, quest'ultima, più unica che rara. Non è un caso che gente come Kjaer, pur non trovandosi a proprio agio con le dinamiche tattiche di Gasp, abbia alzato la mano nelle segrete stanze senza polveroni affermandosi di nuovo altrove sino a diventare campione d'Italia con il Milan; mentre Maehle e Demiral abbiano aspettato pazientemente di trovarsi lontano da Bergamo per colate di veleno che lasciano il tempo che trovano e che molto difficilmente (l'appuntamento per la smentita è a fine stagione) genereranno un minimo di rimpianto a Percassi.