Se uno vivesse sulla luna, penserebbe questo: Massimiliano Allegri e Leonardo Bonucci non appartengono allo stesso club. Magari immaginerebbe che Allegri allena la Roma e che Bonucci ha un anno di contratto con la Juve. Oppure che Bonucci gioca per la Roma mentre Allegri ha ancora un biennale con i bianconeri dopo i primi 24 mesi più disastrosi che mai. Allegri è riuscito a magnificare il suo lavoro persino dopo l’ennesima sconfitta, quella contro il Milan. Ha detto che senza i dieci punti di penalizzazione sarebbe in Champions, non può più affermare che non sarebbe secondo perché è terzo ex aequo. Ma soprattutto non dice tutte le altre cose che conosciamo e che condannerebbero qualsiasi allenatore sulla faccia della terra. A parte Allegri, appunto. È riuscito a dichiarare che ha scelto la Juve e che se avesse voluto vincere sarebbe andato in altri due club (presumibilmente si riferiva a Real Madrid e Inter). Il massimo della mancanza di rispetto verso chi lo paga profumatamente. Il 22 luglio 2022 Allegri aveva dichiarato, senza mezzo giro di parole, che la Juve avrebbe dovuto avere il dovere di riportare lo scudetto a casa. Adesso che non l’ha vinto, che non ha portato uno straccio di trofeo nel giro di due anni, che neanche ha lottato per vincere, che si è fatto sbattere fuori dalla Champions, che ha peggiorato il rendimento di quasi tutti i suoi calciatori, manda messaggi che un allenatore medio non potrebbe spedire ai suoi tifosi (che lo sopportano) soltanto per una questione di rispetto.
Rispetto che non ha perché conta soltanto il suo fenomenale superego. Basterebbe bussare alla porta accanto, quella di Bonucci, per capire come funziona: ecco perché allenatore e difensore sembra quasi come se lavorassero per due club diversi. Già, perché Leo con onestà intellettuale ha ribadito come non sia da Juve restare senza trofei per due anni di fila, al netto di tutti contrattempi che ha avuto da gennaio in poi (l’ultima frase l’aggiungiamo noi). Morale: se vogliono tenere Allegri persino fino oltre il contratto, magari rinnovandoglielo fino al 2035, sono liberi. A patto di assumersi le responsabilità, togliendo il prosciutto dagli occhi perché in queste due anni sono accadute cose orribili sul campo.
Di sicuro accettando – con evidenti e fortissimi rischi – una nuova sfida che oggi è stata persa per distacco come accadeva tra Coppi e il resto del gruppo.
Stefano Pioli ha ragione quando dice che il mercato del Milan debba essere molto propositivo, alla ricerca di rinforzi veri. Sembra Maurizio Sarri che ha bussato allo stesso modo in direzione Lotito, non intende più collezionare brutte figure in Europa e giustamente vuole onorare al massimo la partecipazione in Champions. Il Milan ha bisogno di tre-quattro pedine negli undici, innanzitutto un centrocampista che sostituisca Kessie… un anno dopo, il profilo di Loftus-Cheek (trattativa calda) sarebbe ideale. E poi un esterno destro offensivo, con tutto il rispetto per Saelemaekers e Messias, magari ripartirà la rincorsa per acciuffare Zaniolo dopo i tentativi di gennaio. Di sicuro almeno due attaccanti, con profonda stima nei riguardi di Giroud. Un giovane e un profilo più esperto, in quest’ultimo caso per Arnautovic ci sono stati contatti veri con il gradimento del diretto interessato, bisogna pensare al post Ibrahimovic. Ben venga Kamada a zero, centrocampista universale che può giocare in mezzo al traffico ma anche 25 metri più avanti come trequartista. Cardinale dovrebbe intuire che il mercato fatto di giovani è una bella filosofia, ma devono esserci le eccezioni. Su “De Ketelaere parte o resta” la pensiamo così: se dovesse essere confermato per restare nelle retrovie con in minutaggio ristretto, sarebbe il caso di pensarci intensamente per non rischiare di bruciare un’altra stagione. Quanto alla punta centrale il Milan è colpevolmente in ritardo da almeno 4-5 sessioni di mercato, urge recuperare in fretta per cancellare un’omissione grave.
Aurelio De Laurentiis ha enormi meriti nella storia del Napoli, glieli abbiamo sempre riconosciuti anche quando in tanti lo criticavano e lo assaltavano, dimenticando quanto fatto per un club così prestigioso e per una piazza così innamorata. Nell’anno dello Scudetto, meritatissimo premio dopo tanta semina, abbiamo apprezzato il suo silenzio rotto soltanto da tweet di giubilo dopo trionfi e prestazioni spettacolari. Noi non discutiamo la fine del rapporto con Spalletti, non siamo giudici, lui è il padrone libero di decidere come ritiene. Noi discutiamo le modalità, la forma, l’intossicazione di giorni che dovevano restare sacri. Spalletti, Giuntoli, i balletti, le frecciatine, la clausola, la PEC, le rincorse, le traiettorie velenose. Ecco, a questo ci riferiamo. De Laurentiis è tornato, amen. Con uno Scudetto sul petto, strameritato e figlio del suo lavoro, ma è tornato. Questi film li abbiamo visti con Mazzarri, Sarri, Gattuso, Ancelotti e a noi non piacciono. Avremmo preferito documentari con la storia di una stagione che andava vissuta con il sorriso sulle labbra, a prescindere. Pazienza. Adesso il nuovo allenatore, in lista non c’è più Luis Enrique: ADL si sarebbe svenato, ma lo spagnolo non è convinto per una questione tecnica e si è defilato, come anticipato nelle ultimissime ore. Luis è un pignolo, perfezionista, attento ai dettagli. Quando ha memorizzato la frase “ora il Napoli deve vincere la Champions”, ha capito che non sarebbe stata aria. Già ci sono tante pressioni, meglio non aggiungerne altre.