Zanardi, una vera follia: tifosi sconvolti - Sportitalia.it (screen Youtube)
Ci sono storie che il motorsport racconta con il rombo dei motori, e altre che urlano silenziosamente molto di più. Quella di Alex Zanardi è una miscela potente di talento, tragedia e rinascita, diventata un manifesto di coraggio prima ancora che un capitolo di sport.
Nato a Bologna nel 1966, cresciuto tra i cordoli e i sogni di velocità, Zanardi ha inseguito la Formula 1 senza mai davvero trovarla: troppe occasioni sprecate, troppe monoposto sbagliate. Ma è in America, nella serie CART, che il pilota italiano ha cambiato pelle e riscritto il suo destino. Due titoli consecutivi (1997 e 1998) con la Chip Ganassi Racing, uno stile di guida aggressivo, spettacolari sorpassi all’ultima curva e quel modo tutto suo di festeggiare: i “donuts”, le ciambelle di gomma sull’asfalto. Alex non era solo un vincente: era magnetico.
Poi il buio, improvviso e violento. 15 settembre 2001, Lausitzring, Germania: l’impatto devastante lo priva di entrambe le gambe. Per chiunque sarebbe stata la fine, per Zanardi è stato solo un nuovo punto di partenza. È tornato in pista, ha vinto nel WTCC con un’auto modificata, e quando gli sembrava poco, si è inventato campione anche nel paraciclismo: quattro ori e due argenti paralimpici. Una forza interiore che ha fatto scuola, esattamente come i suoi libri (“Viaggiatore sulla coda del tempo”, “Quel ficcanaso di Zanardi”) e il sorriso che non ha mai smesso di regalare. Oggi, il suo nome è sinonimo di resilienza e rimane impresso nella memoria di molti tifosi, tra sogni e un pizzico di follia.
Nelle scorse ore, un tweet nostalgico di un fan anni ’90 ha riaperto un “e se” che profuma di leggenda: “Mi chiedo ancora quanto sarebbe stato folle vedere Greg Moore e Alex Zanardi correre la 500 Miglia, e quanto veloci sarebbero andate quelle Reynard di fine anni ’90”. Il riferimento è a uno degli eventi più iconici del motorsport: la 500 Miglia di Indianapolis, gara madre della cultura americana, dove si sfreccia sull’ovale a oltre 370 km/h, e dove il talento e il coraggio si misurano su 200 giri da brivido.
Zanardi, nonostante il dominio in CART, non corse mai a Indianapolis a causa della frattura allora presente tra la IRL (che gestiva la Indy 500) e la CART. Un’occasione mancata per il pubblico, che non ha mai potuto vederlo duellare sulla Brickyard. E pensare a quanto avrebbe potuto volare quella Reynard Honda #4, che nel ‘98 lo portò al titolo con sorpassi entrati nella leggenda. Greg Moore, talento tragicamente scomparso, e Zanardi insieme a Indy: uno scenario che non è mai accaduto ma che, anche a distanza di decenni, fa sognare gli appassionati.
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