La storia personale e professionale di Gabriele Lepore racconta proprio questa ricerca di un equilibrio necessario quando si gioca, sia nell’ambito competitivo che in quello più ampio del rapporto con il poker.
Il player di Roma (più precisamente di Colleferro) è di fatto un veterano del poker in Italia, nonostante abbia soltanto 41 anni. Nel suo percorso ha ottenuto grandi risultati live, affrontando però anche quelle che potremmo definire vere e proprie “altalene esistenziali” legate al gioco.
Un cammino fatto di analisi – del settore, della psicologia e di sé stesso – che oggi lo rende un giocatore molto più consapevole. Ce lo ha raccontato in questa intervista, realizzata durante l’ultimo EPT di Praga, e per la quale lo ringraziamo.
Ciao Gabriele e grazie per la tua disponibilità. Tra il 2010 e il 2015 sei stato un giocatore di punta in Italia, per risultati e visibilità. Poi la tua presenza nei tornei live si è progressivamente ridotta: che cosa è cambiato nella tua vita?
Con il poker è sempre stato un rapporto di amore e odio. Di solito ho voglia di giocare, e spesso la voglia cresce. Però a volte mi passa improvvisamente. È strano ma vero: capita non solo quando le cose vanno male, ma anche quando sta andando abbastanza bene. È come se mi abbuffassi di poker, poi arriva un punto in cui mi nausea e mi stufo. Così finisco per stare anche anni senza voler giocare. Alla fine però ricomincio sempre.
Dopo il periodo magico che hai descritto, ho rallentato per un paio di anni, e poi ho centrato il mio miglior risultato in carriera in termini economici: il quarto posto al PSC (in precedenza EPT) Main Event di Praga. Oggi gioco meno, magari una volta a settimana. La vera mazzata, però, è arrivata con il coronavirus.
Come ha inciso la pandemia su di te?
Innanzitutto mi ha impedito di giocare live per due anni. Inoltre, ho attraversato un periodo complicato a livello psicologico. Non so se sia stato solo per quello o per altri problemi della vita, ma di fatto mi ha allontanato dal poker. Probabilmente sarei tornato a giocare già da un paio d’anni ma, per un motivo o per un altro, non me la sentivo. Io cerco sempre di giocare quando sto bene. Se mi sento bene, gioco; altrimenti preferisco evitare. Questo, soprattutto, ha influito sulla mia presenza o assenza ai tavoli, ma credo abbia influito anche sulla la mia longevità nel mondo del poker: se non mi fossi ascoltato, magari sei “andato rotto” come è successo a tanti altri colleghi…
Se non sei più un giocatore full time, di cosa ti occupi in questo momento?
Confermo, in questo momento non sto giocando full time. Negli ultimi 6/12 mesi ho però progressivamente aumentato, tra l’altro con parecchie trasferte live. Tuttavia, non credo che tornerò mai a giocare full time. Nel frattempo però mi occupo di coaching a vari livelli, in collaborazione con due top giocatori italiani. Seguiamo insieme le carriere professionali di molti giocatori, alcuni già noti al pubblico del nostro settore!
Dal 2014 fino alla pandemia, il (primo) boom del poker si è esaurito: un esito inevitabile o ci sono stati degli errori?
Sono successe tante cose… o meglio, alcune cose non sono successe. Ad esempio, la liquidità condivisa non è mai arrivata in Italia, mentre in altri Paesi sì. E quello avrebbe potuto essere un aiuto importante, ma adesso non so se sia ancora una possibilità. Il field generale c’è, non è esagerato, ma almeno è decente, anche grazie alla pandemia che ha fatto aumentare i numeri. Poi c’è stato il Decreto Dignità, che ha dato una mazzata enorme: ha eliminato tutta la pubblicità, le sponsorizzazioni e, soprattutto, ha reso più difficile attirare nuovi giocatori. Complessivamente, però, devo dire che negli ultimi anni sembra si respiri un’aria diversa.
In effetti, i numeri dei tornei live sono cresciuti nonostante la crisi economica generale: quali sono le prospettive per questo settore del poker?
A livello di live, in Italia c’è ancora poco, però gli eventi che ci sono riescono comunque a fare numeri più che decenti. Gli EPT, ovviamente, vanno sempre alla grande. Sembra quasi un nuovo boom, almeno ai miei occhi, caratterizzato da tanti nuovi giocatori, da tante facce nuove. Poi è vero che l’Europa sta attraversando un periodo di crisi economica, ma il poker non ne risente più di tanto. Questo mondo subisce poco la crisi, perché chi viene a giocare – e non è un professionista – di solito non ha problemi economici. Il poker dal vivo resta un settore di lusso: chi ha i soldi per partecipare a questi eventi, in teoria, non è toccato dalla crisi. In altre parole, crisi o non crisi cambia poco. Dopo aver partecipato al Pokerstars Open di Campione, la sensazione che il poker live stia per diventare grande di nuovo.