La ricetta di Antonino Venneri: poker, vela e un pizzico di nostalgia

Le strade di Campione e del più importante tour europeo di poker si sono poi divise, fino a ritrovarsi di recente grazie al PokerStars Open, il nuovo festival continentale che ha preso il posto di Estrellas, Eureka, France Poker Series e UK & Ireland Poker Tour. Il Main Event, iniziato ieri, ha portato nella sala principale del Casinò di Campione tante giovani leve e anche tanti veterani.

Tra questi ultimi c’era anche Antonino Venneri, giocatore storico del circuito italiano ed europeo, protagonista dei tornei fin dai primi anni Duemila, come dimostra il suo palmares. Venneri è un vero appassionato di poker. E non solo di quello, come ci ha rivelato nell’intervista che segue.

Ciao Antonino e grazie per la disponibilità. Prima di tutto, qual è il tuo rapporto con il poker?

E’ una grande passione, ma non sono un giocatore professionista. A me piace stare in mezzo agli altri, mi piace il contatto umano e giocare dal vivo mi fa sentire a mio agio. Amo la compagnia e amo competere, ma non ho mai vissuto questo aspetto agonistico come un lavoro. Assolutamente no. Questo vale per il poker e vale anche per un’altra passione che, ad essere sincero, mi ha regalato soddisfazioni probabilmente anche superiori…

Ci hai incuriosito. Ma prima restiamo sul poker: come lo hai scoperto?

Un po’ come tanti altri italiani, forse come quasi tutti coloro che hanno iniziato nel periodo del boom post-Moneymaker. Parliamo di vent’anni fa, quando il gioco ha iniziato a diffondersi e ci ha travolti, spesso facendoci mettere da parte altri impegni. È stato qualcosa di coinvolgente e totalizzante. Nel mio caso, tutto è iniziato in un circolo, dove mi aveva portato un amico. Da lì in poi non ho più smesso di giocare a Texas Hold’em.

Che tipologia di giocatore sei?

Mah, non so, io sono scarso! (ride, ndr). Mi baso soprattutto sull’avversario che ho davanti, guardo un po’ meno all’aspetto teorico-matematico e punto maggiormente su quello “personale”. Conosco le basi, le percentuali, però credo che affidarsi solo a questi elementi non sia sufficiente. Spesso ho fatto giocate assurde dal punto di vista teorico che però si sono rivelate vincenti. Dopo tanti anni di poker, sono convinto che l’imprevedibilità sia un elemento chiave del gioco.

E allora parliamo di imprevedibilità, quella che hai messo in mostra nell’EPT di Sanremo 2011 e che ti ha portato fino al 10° posto. L’ultima mano, però, è stata particolarmente strana. La ricordiamo: tu limpi preflop con K♦10♠ e trovi solo Xuan Liu che gioca da BB. Poi betti su flop e turn, lasciandoti dietro poche chips. Al river il board mostra 7♦3♥A♦A♥7♣: la player cino-canadese va all-in e tu chiami, ma ti trovi davanti 7♥8♣, fullhouse…

Ho sbagliato, forse sarei dovuto andare all-in preflop anche se giocavo da utg. La verità è che, poche mani prima, avevo incassato un duro colpo da Massimiliano Manigrasso: lui fivebetta all-in con AJ, io chiamo con i Kappa e al river scende l’Asso che mi lascia shortstack. Quella mano ha distrutto il mio torneo e credo mi abbia condizionato psicologicamente. Alla fine, però, non posso avere troppi rimpianti: è un 10° posto in un EPT di valore, quelli che si giocavano una volta…

In che senso?

Nel senso che in quel periodo non esisteva la re-entry, la seconda iscrizione. I tornei erano freezout (singola iscrizione, ndr) e dovevi accettare quello che succedeva. Era più bello, non ho dubbi su questo. Adesso gli equilibri sono cambiati perché chi può permettersi di rientrare in gioco ha un vantaggio, almeno teorico, su chi invece non può. Il Main Event WSOP, il torneo di TH più importante al mondo, si gioca in modalità freezout. Non è un caso.

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