Il momento della Juventus è uno sfogo minuto per minuto, inevitabile. Sono stati tre notti tremende: da PSV-Juve a Juve-Atalanta, passando per Juve-Empoli di Coppa Italia, impossibile digerire. Quelli che ragionano con i soldi degli altri (un classico su questi schermi) auspicano un esonero immediato di Motta, compresa la necessità di spazzare via management, responsabili di mercato, amici dei responsabili e amici degli amici. Insomma, tutti a casa. Comprensibile: quando i soldi non sono i tuoi, diventa più facile sputare sentenze. Esattamente come diventa automatico dire “ora deve dimettersi e basta”.

Come se quell’esercizio fosse un passaparola nel mondo del calcio, funziona esattamente al contrario. Il ragionamento, comunque, ci sta: siccome stanno mandando di traverso i pomeriggi e le notti del tifoso medio in compagnia della squadra del cuore, ecco “licenziateli”, “traditori”, “non vogliamo più vederli”, “chiamate Tudor”, “voglio Sartori”, “pretendo tizio”, “datemi caio”. A proposito di Tudor, tanto per chiarire: la notizia circolata nella notte tra domenica e lunedì legata a un coinvolgimento immediato del croato era fake, molto fake, terribilmente priva del minimo fondamento. Ora, lasciando libertà di giudizio a chiunque (purtroppo) la riflessione sarebbe un’altra: la Juve non vince uno scudetto dal 2020, cinque anni ormai, un’eternità perché da quelle parti al massimo si può bucare una stagione ma alla seconda ti inchiodano senza pietà. E la riflessione imporrebbe una domanda chiara: come mai sono trascorsi 5 anni, un’eternità? Qualcuno se lo ponga, simile quesito, prima di indirizzare il mirino in base a simpatie o antipatie personali.

Premesso che le colpe sono evidenti e ben distribuite, cerco di sviluppare il famoso argomento dei cinque anni senza uno scudetto. A proposito: l’ultimo a vincerlo è stato Maurizio Sarri e quasi era diventata una colpa per dire come funziona, anche mediaticamente spopolano i fan club dei calciatori nel ricordo di un poster appeso in camera e di un sorrisetto ruffiano dopo un’intervista. Se la Juve da 5 anni fa virgola, inammissibile, è perché ha avuto un percorso societario molto controverso. E spesso assente rispetto alla necessità di metterci la faccia. Pirlo è durato un anno malgrado due trofei, Allegri è costato oltre 40 milioni lordi (soltanto lui); sono stati pagati ingaggi enormi per gente sul viale del tramonto (Di Maria) oppure arrivata con grandi problemi fisici (Pogba); sono stati spesi centinaia di milioni per i cartellini (bastano Vlahovic e Locatelli?); sono stati organizzati scambi assurdi (Pjanic per Arthur, Cancelo per Danilo), anche prima dei famosi ultimi 5 anni.

E nel frullatore vanno messi in primis Paratici accompagnato dai suoi collaboratori: 5 anni sono più di 8 mesi. Quella è la rincorsa che ha portato a errori su errori, a strafalcioni su strafalcioni, ad assenze mediatiche senza alcun tipo di spiegazione. La stessa assenza che abbiamo notato nelle ultime settimane: Giuntoli ha spiegato dopo Juve-Empoli, troppo poco, andava scortato dal verrice. Motta con i suoi errori, anche gravi, è da solo su una barchetta in mezzo a un oceano. A me piace ascoltare gli allenatori (per esempio Sacchi) che parlano dopo aver vinto e non che parlano dopo aver fallito in panchina e che ora fanno gli splendidi con un microfono in mano. Sacchi ha sempre ribadito come la società, la presenza della società, sia più importante di qualsiasi altra fantasia. E ricorda spesso quando Berlusconi comunicò ai calciatori che Arrigo sarebbe rimasto al Milan a prescindere dalle loro idee. E anche se fai il contrario, almeno spieghi, intervieni, disquisisci, ci metti la faccia. È così da cinque anni ormai, non da ieri o da 9 mesi: qualcuno si faccia una domanda, può essere utile (e forse decisivo).