Quando nel poker (Texas Hold’em) si parla di block bet, si fa riferimento a una strategia utilizzabile dal giocatore che agisce fuori posizione.
La meccanica prevede una puntata relativamente bassa, diciamo per un importo che va dal 20% al 33% del piatto, allo scopo di evitare una puntata più grande da parte dell’avversario. Quest’ultimo viene preso in contropiede, usando una metafora calcistica, e potrebbe decidere di non puntare forte, in particolare se non ha un punto. La block bet, inoltre, serve ad evitare che il piatto aumenti troppo (pot control) quando abbiamo un punto medio (ad es., una second pair) e a congelare l’opzione di una possibile free card per l’avversario.
In sintesi, la block bet si usa:
- quando abbiamo una mano con valore di showdown ma vogliamo evitare di affrontare una puntata più grande
- contro avversari aggressivi che potrebbero bluffare
- quando il board è pericoloso e vogliamo scoraggiare una grossa puntata
Naturalmente, è importante avere un po’ di lettura sull’avversario. I giocatori più esperti, infatti, potrebbero individuare la block bet e castigarci con un rilancio pesante in bluff.
Uno scenario tipico è quello del flop, dove la block bet diventa una mossa preventiva alla c-bet, in particolare quando le prime tre carte del board non presentano grosse insidie. Ma si possono verificare giocate in block bet anche al turn e al river, soprattutto per evitare tentativi di bluff.
Di seguito, proponiamo una situazione al turn capitata durante un torneo a Parker Talbot, professionista canadese sponsorizzato.
L’azione si svolge a 11 left, Talbot è al 9° posto del chipcount con uno stack di 95.000 gettoni, quando i bui sono 2.000/4.000 ante 500.
I giocatori sono già tutti in the money e divisi su due tavoli, uno da 5 e uno da 6.
Il canadese è seduto a quello da 6, quando un giocatore, che il canadese definisce “un buon regular high stakes, aggressivo ma non eccessivamente loose“, rilancia a 8.800 da bottone. Nello stack ha più di 200mila chips. Lo SB folda e l’azione arriva così a Parker Talbot che da BB decide di chiamare con in mano 7♦2♦.
Il flop è: 4♦7♠A♠. Il pro canadese si ritrova con second pair e doppio progetto backdoor a scala e a colore. Fa check e riceve una c-bet pari a circa il 30% del piatto (più o meno 8k). Talbot spiega il suo thinking process: “Lì per lì ho pensato di fare un check-raise shove, ma sapendo che il mio avversario non è un maniac, ho preferito limitarmi al call.”
L’azione si sposta così al turn, un 3♥. “Hero” decide allora di cambiare approccio. “Non volevo fare check-call a una seconda puntata con un misero gutshot e una second pair in mano. Tuttavia, ripensandoci, credo che avrei semplicemente dovuto fare check. Chiamare un’altra puntata con una seconda coppia non è un dramma. Il mio avversario avrebbe continuato a puntare con molti bluff, uno scenario gestibile. In quel momento, però, mi sembrava di non voler chiamare una puntata troppo grande e volevo comunque fargli pagare qualcosa e proteggere la mia seconda coppia. Avevo ancora un gutshot draw, e su alcuni river interessanti avrei potuto trasformare la mia mano in un bluff, costringendolo a foldare mani come ad esempio una top pair.”
Parker Talbot esce così in block bet al turn, puntando 13.500 chips che il suo avversario.
Arriva l’ultima carta: 5♠. Sul board adesso ci sono tre carte di picche (possibilità di colore chiuso) e 4/5 di scala wheel. Il canadese ha chiuso proprio quest’ultima con il suo 2 di quadri e questo lo porta a riflettere sul da farsi. “Non vedevo possibilità di indurlo a pensare che fossi in bluff (e ottenere quindi un call, ndr). E così ho scelto di fare check, nella speranza di indurre lui a bluffare oppure di puntare magari con top pair (sempre che non avesse colore, ndr). Penso, però, di aver sbagliato nuovamente, avrei dovuto fare una small bet per non lasciargli un facile check-back.“