Ogni volta che una leggenda dello sport ci lascia, il mondo sembra fermarsi per un istante. È un brusco risveglio, perché per quanto sia ovvio che nessuno è immortale, certi nomi sembravano sfidare il tempo.
Eppure, anche i più grandi devono fare i conti con la fragilità della vita. Il 2025 ha già portato via icone che hanno scritto la storia. Aldo Agroppi, grande centrocampista del Torino e poi allenatore senza peli sulla lingua, se n’è andato lasciando un vuoto nel cuore dei tifosi granata. Rino Tommasi, il signore della statistica sportiva, ci ha lasciati senza la sua voce affilata e inconfondibile, quella che ha raccontato con passione il tennis e la boxe. E poi il calcio mondiale ha perso uomini che ne hanno plasmato l’identità, la cultura e l’innovazione. Beckenbauer, il Kaiser, se n’è andato a inizio 2024, chiudendo il sipario su una carriera che ha praticamente ridefinito il ruolo del difensore.
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Prima di lui, Mario Zagallo ci aveva salutato, portandosi via un pezzo di Brasile e di storia del calcio. Poi Sven Goran Eriksson e per chi ha vissuto le notti magiche di Italia ‘90 non può essere dimenticato Totò Schillaci, l’uomo che in un solo Mondiale è diventato eterno. Il ciclismo, il pattinaggio, l’atletica. Ogni disciplina ha perso i suoi giganti. Ma la vera grandezza di questi campioni rimane viva nei racconti, nei video, nei ricordi. Perché i miti dello sport non muoiono mai davvero e a volta rimangono i simboli di un’intera nazione.
Addio a Boris Spassky: fu campione di scacchi per 3 volte
Nacque nella vecchia Leningrado, a soli due anni dallo scoppio di una guerra che poi vide la città assediata per mesi dall’esercito tedesco, quel Boris capace di contendersi una finale di scacchi che durò quasi tre mesi. C’era Fischer di fronte a lui, un’altra istituzione simbolo di una nazione che con la Russia non aveva certo buoni rapporti. Stati Uniti e Unione Sovietica, impegnate in una sfida sportiva che sospese il tempo e congelò una guerra, stavolta fredda, dall’11 luglio al 3 settembre del 1972.
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In quell’anno l’Islanda fu teatro della sconfitta per Spassky, che si consolò due anni dopo con l’ennesima medaglia d’oro olimpica: l’ottava e ultima di una lunga serie. Negli anni duemila lo scacchista russo andò incontro a due ictus e dal 2006 Boris ha dovuto fare i conti con una salute precaria, ma comunque solida. Ha resistito fino al’età di 88 anni, il Grande Maestro, lasciando un vuoto profondo nel mondo dello sport che Filatov, presidente della Federazione Russa, ha commentato così: “È scomparsa una grande personalità, generazioni di giocatori di scacchi hanno studiato e stanno studiando le sue partite e il suo lavoro. Questa è una grande perdita per il Paese”.