francesco letizia
Se cercate un pezzo da “redde rationem”, in cui giudicare i vivi e i morti, rimpiangendo i presunti fasti di una squadra con Romagnoli, Messias, Krunic, Bakayoko e compagnia, mi dispiace: andate altrove, non perderete tempo voi e mi eviterò un classico commento inutile io. Lo dico perché, pur capendo gli stati d’animo di tutti dopo una botta emotivamente pesante come quella di martedì sera, sono rimasto abbastanza basito da alcuni elzeviri di firme illustri del Milanismo e non solo che raccontano la tragedia di aver smantellato in due anni un grande progetto. Il fact checking in questi casi è sempre il miglior modus operandi: c’era un grande progetto due anni fa (che poi erano tre!) o c’era un’annata in cui tutto si è allineato in positivo, portandoci un alloro tanto meritato quanto insperato ed episodico? Se lo abbiamo chiamato “lo scudetto più bello di sempre” era per questo: perché dei 19 (o facciamo almeno degli ultimi 10, prima non ne ho competenza) è quello vinto dalla squadra più debole in assoluto. Non mi pare che nel 2001 qualcuno si indignò per aver “distrutto la squadra del 1999”, che per inciso, aveva Maldini, Albertini, Ambrosini, persino Boban, Leonardo, Weah e Bierhoff: gente che qui, nel 2022, non si è vista manco per sbaglio. Io sto con Ibra, lo dico ad alta voce oggi, quando tutti per guadagnare due click e tre like dicono il contrario: la squadra di oggi è due volte più forte. Rilancio: la squadra di oggi è, sulla carta, una squadra da semifinale di Champions League a pieno titolo.
Poi purtroppo, il campo è fatto di erba e le prestazioni sono fatte di mille fattori, in primis quello mentale. Questa squadra manca terribilmente di personalità nei suoi elementi migliori tecnicamente e manca di serietà e maturità nei suoi elementi più “anziani”. Credo, per esempio, che se Reijnders, Pulisic e Joao Felix, tre grandissimi giocatori, avessero un leader a cui fare riferimento, avrebbero ancora un 30% in più da dare nelle loro prestazioni. Ma se per trovare un leader si è dovuti finire a Maignan, buon portiere (che si porta sulla coscienza la sconfitta di Rotterdam) ma con tutto il rispetto un “muto” fuori dal campo, vuol dire che siamo abbastanza in difficoltà. Di Theo Hernandez invece, meglio non parlare: dico solo che il Milan non può più credere alla sua redenzione a parole. Alla fine quindi, altro che “aver distrutto il passato”: se questa società ha fatto un errore è stato non distruggerlo abbastanza, avendo pensato in buona fede – e per accontentare i tifosi – che gli ex scudettati fossero all’altezza di guidare un nuovo gruppo. Bisognava accompagnarli alla porta prima (non dimentichiamo Calabria – indecorose le sue parole della settimana scorsa – e Bennacer) e trovare ex novo altre personalità forti, come fatto a gennaio con Walker. Per giugno quindi, inutile fare i filosofi sulla tecnica e la tattica, o innamorarsi del Ricci di turno: prima c’è da puntare sugli uomini, di attributi ed esperienza. Meglio un piede meno dolce, ma che davanti al delirio del De Kuip o del Maksimir non se la fa sotto, e che in una gara a eliminazione diretta a San Siro non gigioneggia col pallone e non si fa cacciare. Superfluo dire che tali leader non avranno mai i capelli rosa, né accetteranno mai di giocare con qualcuno che li abbia.
Nel frattempo, ci sono tre mesi ancora da portare a casa. Sento criticare Conceiçao, anche lì, spesso senza competenza in materia: se Sergio toglie Gimenez non lo fa perché é pazzo o incompetente, ma perché Santiago gioca su un problema all’adduttore da quando è arrivato e ha un’autonomia molto limitata. L’allenatore lavora da 50 giorni per questa squadra dando anima e corpo: commette degli errori, a volta “scatta” per eccessivo nervosismo, ma dimostra umanità, abnegazione alla causa e serietà. Tutti valori che nello spogliatoio di Milanello dovrebbero essere presi a esempio, visto che sono merce rara per i beniamini dei social. Certo, dopo l’eliminazione, i jolly sono finiti: l’unico modo di salvare la stagione è arrivare quarti E (non O) vincere la coppa Italia. Qualsiasi altro risultato è deludente e metterebbe tutti in discussione, dall’allenatore in giù. Ciò che non è discutibile invece è l’impegno di una società che col mercato invernale ha provato a invertire la tendenza, certificando con umiltà di aver sbagliato le scelte estive.
Chi dice diversamente o vuole fare il personaggio o ha il dente avvelenato per avvenimenti che ben conosciamo. Le scelte le sbaglia solo chi le prende: il Milan poteva restare a guardare con spocchia, ha deciso di intervenire a 360°. L’augurio è che basti. Ma anche se così non fosse, con questo modo di operare, quello giusto, ci si riproverà in estate: un gruppo di persone intelligenti come quello che lavora a Casa Milan, o vince o impara. Se quest’anno dimostrerà di aver fatto la seconda, l’anno prossimo – con l’allenatore giusto – italiano ndr -, le cessioni che servono e gli acquisti necessari – potrà a pieno titolo ambire a fare la prima. Magari non da fortunato vincitore del Superenalotto, ma da meritevole sopravvissuto a cicatrici che non ci uccideranno, ma ci renderanno più forti.
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