Conte, via l’etichetta. Allegri, Gasp e il corto muso di Guardiola

Antonio Conte se l’è presa – e neanche poco – per una domanda in conferenza che riproponeva quella sua vecchia battuta sul ristorante da 10 o 100 euro. Ha fatto bene. Perché erano altri tempi e nel calcio ci si dimentica spesso che certe etichette non fanno il bene di nessuno, oltretutto se ampiamente superate e non più attuali. L’allenatore del Napoli sta dimostrando un grande temperamento nel continuare a fare con quello che ha a disposizione (oggettivo che il club non gli abbia dato una mano nel mercato di riparazione) e gli va riconosciuta una proposta di gioco fresca e meritevole, evidentemente frutto del tempo che ha investito l’anno scorso – quando era senza panchina – per aggiornarsi un po’.
Le etichette nel calcio sono dannose perché la maggior parte delle volte vanno a disegnare dimensioni che non esistono. Si narra con troppa leggerezza sul conto di Allegri come un allenatore che non fa giocare a calcio le proprie squadre, ma anche questo è frutto di una percezione sbagliata. Nasce tutto da una frase del vecchio Max che provava ad alleggerire la pressione dalla corsa scudetto, dicendo che sarebbe bastato un punto in più della squadra avversaria per vincere ancora: anche se di corto muso. Quel concetto venne forzato e riadeguato per le singole partite, così l’ex allenatore della Juve passò facilmente per quello che pensava a vincere di misura e a rischiare meno possibile nel corso dei 90 minuti.
Le etichette bruciano perché determinano l’esito di un fatto ancora prima che avvenga: come dare per fatto un colpo di mercato per il quale si deve ancora in effetti concludere la trattativa. Il corto muso sarebbe tornato utile per spiegare bene l’idea di Guardiola, celebrato forse più per come ha immaginato di portare innovazioni al calcio che per quello che ha vinto: per il tecnico del Manchester City conta fare un gol in più della squadra avversaria, esattamente come Allegri puntava a vincere uno scudetto dietro l’altro. Dentro a questo equivoco ci si è persi invece l’essenza della realtà: quando la Juve aveva tanti campioni, la squadra vinceva più facilmente e Max la faceva giocare meglio di quando si è ritrovato a gestire una rosa senza stelle. A quel punto, mentre tentava di far comprendere cosa fosse cambiato alla Juve nel profondo, ha provato a trovare comunque una strada per giungere al risultato minimo. Cosa che oggi si ritrova a fare Thiago Motta, che si ritrova a gestire le stesse pressioni ed esigenze di un club che – in fin dei conti – viene percepito soprattutto attraverso ai risultati. (P.S. – Guardiola è passato dallo spazio come centravanti a Haaland: è tutto vero!).
A proposito di etichette, ce n’è una che aleggia nell’ambiente Juve da sempre, ma senza riscontri reali. Mentre i tifosi bianconeri sognano Del Piero presidente, e nei momenti di difficoltà lo immaginano come la possibile soluzione a ogni problema, Alex continua a studiare da allenatore e si vede più in panchina che dietro a una scrivania (a meno di un ruolo in cui possa davvero decidere tutto). Mentre il Milan, come la Juve, in queste ore sta indirizzando l’esonero di Bonera dalla panchina della seconda squadra: il club aveva affidato il progetto a un uomo di fiducia, ma ciò non basta per avere i risultati che servono. La Juve ha vissuto la stessa situazione fino a qualche mese fa, e solo quando ha richiamato Brambilla al posto di Montero ha ripreso il cammino consueto per creare valore in Next Gen. Abate, che sarebbe dovuto essere l’allenatore del Milan Futuro per dare continuità a quanto fatto in precedenza con la Primavera rossonera, si è invece ritrovato coinvolto in un esonero temporaneo alla Ternana per non aver schierato il figlio del presidente: si è concluso tutto in una notte perché i giocatori si sono imposti.
Ciò che conta davvero nel calcio è come si affrontano i momenti. Palladino è stato a un passo dal toccare il fondo nei primi mesi alla Fiorentina, ma poi ha dimostrato di essere un grande allenatore: e non perché lo sia stato anche al Monza, ma per come ha saputo gestire la crisi viola. Ranieri è un maestro in questo senso e va preso da esempio finché sarà alla guida della Roma. Mentre sul fronte opposto della Capitale, Baroni sta dimostrando che è stato un grande errore etichettarlo per molto tempo come allenatore da salvezza: sta facendo grandi cose anche in Europa. Sembra poter diventare adesso un degno erede di Gasperini, che in questi anni ha fatto sempre più grande l’Atalanta (anche grazie alla solidità del club) ma anche lui non può fermarsi: nel calcio, in fin dei conti, si vive di momenti e non di ricordi. Per quanto anche quelli aiutino – ogni tanto – a sentirsi vivi.
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