Più o meno una quindicina di anni più tardi sono arrivati i Progressive Knockout (PKO). In breve tempo, questi tornei hanno aumentato la popolarità delle taglie in ambito torneistico, tanto da essere oggi un “must” per quasi tutti gli organizzatori di kermesse live.
La differenza tra KO e PKO è sottile ma importante. Nei tornei Progressive Knockout, chi elimina un avversario riceve solo una parte della taglia spettante. Il resto viene aggiunto al bounty di chi ha realizzato l’eliminazione, rendendolo quindi più appetibile per gli avversari.
In sostanza, la meccanica dei PKO determina un crescendo di valore delle taglie in circolazione, mano a mano che il torneo avanza. Questo elemento ha contribuito all’attuale boom degli eventi PKO, i quali ingolosiscono i giocatori offrendo la combinazione tra quote del montepremi e accumulo progressivo delle taglie.
Chi raggiunge le fasi avanzate del torneo realizza spesso un buon profitto. A volte, però, può succedere che un giocatore incassi più soldi di un avversario che lo ha preceduto nella classifica finale grazie all’accumulo delle taglie. L’opportunità di guadagnare premi immediati, indipendentemente dall’aver raggiunto la “zona in the money2, rende inoltre il gioco più entusiasmante per i giocatori meno esperti.
Diventare buoni giocatori di tornei PKO richiede tuttavia alcuni adattamenti strategici e tecnici.
Dal punto di vista della strategia, i tornei Progressive Knockout si concentrano sull’integrare il valore delle taglie, gestire l’aggressività e sfruttare le dinamiche degli stack.
Ad esempio, gli avversari che hanno poche chips a disposizione diventano una preda molto interessante. Contro di loro conviene essere più aggressivi del solito, ampliando il range di aperture e di call. Al tempo stesso serve una gestione oculata dello stack. Bilanciare i due fattori spesso non è facile, ma può fare la differenza in questo tipo di competizioni.
Mentre le strategie classiche basate sull’ICM danno priorità alla sopravvivenza e quindi all’avanzamento nel chipcount, nei PKO può avere senso sacrificare parte di questa priorità per catturare le taglie. L’importante, però, è farlo solo se queste sono preziose, ovvero se vale davvero la pena correre il rischio di perdere chips.
Nella fase preflop, si può mini-raisare più loose del solito contro un avversario che ha un bounty interessante e uno stack sensibilmente inferiore. All’opposto contro un big stack. In quel caso conviene usare un range di mani più selettivo e magari un’open-raise più forte, nella speranza di creare un piatto grosso sul quale metterlo ai resti. Quando invece siamo noi gli shortstack, è preferibile andare direttamente all-in con una mano medio-buona, per evitare di ricevere più di un call preflop da stack superiori.