Calcio

Pioli: “Milan, ho dato tutto. La verità su Leao, Theo e Reijnders”

Stefano Pioli, ora allenatore dell’Al Nassr, ha parlato a La Gazzetta dello Sport e ha affrontato vari temi, a partire dalla fine della sua avventura sulla panchina del Milan: “Era arrivata una conclusione fisiologica, e i derby l’hanno accelerata. Perderne sei di fila mi ha fatto male, è naturale. Al Milan ho dato tutto per cinque anni. Soprattutto i due di Champions League, anche perché hanno tolto valore a un grande risultato: essere tornati in semifinale dopo 16 anni. I troppi infortuni? All’Al-Nassr ho avuto una sola mezza contrattura del brasiliano Talisca che ha saltato una sola partita. I metodi di lavoro sono gli stessi dell’anno scorso”.

Le dichiarazioni di Pioli

Quando ha capito che al Milan era finita?

“C’è stato un momento preciso: ritorno dei quarti di Europa League, Roma-Milan, all’Olimpico. All’andata avevamo perso 1-0. In spogliatoio prima della gara feci un discorso da pelle d’oca, uno dei miei più sentiti di sempre. Ero sicuro di passare. Invece alla squadra non arrivò nulla e in campo fece poco. Lì mi accorsi che quello che davo non bastava più, l’empatia si era guastata. Rimpianti o rimorsi? Nessuno. Per me esiste un solo metro per valutare un’avventura professionale: valutare la squadra come l’ho trovata e come l’ho lasciata. Tutto ciò che è accaduto in mezzo, di buono e di cattivo, fa parte del percorso e va accettato”.

Su Theo Hernandez.

“Un bravo ragazzo, non c’è stato un solo giorno di Milan in cui non abbia dovuto spronarlo. Ma ditemi un solo terzino sinistro al mondo che sappia spostare le partite come lui. Mi hanno rimproverato di usare solo la carota, non è vero. Solo che il bastone non lo mostravo in pubblico”.

Su Leao.
“Un ragazzo in continua crescita, anche quest’anno. Io resto convinto che Rafa possa ancora diventare fortissimo, non so se da Pallone d’oro, ma di sicuro molto più forte di ora. Ci sta arrivando. Quando andava in nazionale gli dicevo: “Osserva bene tutto ciò che fa CR7, poi me lo riferisci”. Tornava, mi raccontava e io gli dicevo: ‘Lo vedi? Fallo anche tu”.

Su Reijnders.
“Moncada mi disse di dare un occhio al ragazzo. L’avevo già ammirato in una partita di Conference contro il West Ham, restai affascinato dall’eleganza e dalla capacità di andare oltre l’avversario senza dribblarlo. Feci di tutto per averlo. All’inizio del campionato gli capitavano due occasioni a partita. Lo martellavo: “Ti tirerò fuori i gol che hai dentro”. Ora li sta tirando fuori tutti. Fofana l’ha completato. La verità è che giocare in Italia non è semplice, serve sempre un anno di ambientamento”.

Federico Calabrese

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