Calcio

Inter-Milan, a voi la prima. Juve, il non detto lacera. Ma le strumentalizzazioni son peggio

Chi vince festeggia, chi perde spiega. Giusto, dunque, partire da chi ha conquistato la prima finale della stagione per aggiungere un trofeo in bacheca: l’Inter e il Milan, che domani si contenderanno la Supercoppa italiana in Arabia Saudita. La squadra di Inzaghi è in piena rotta: non fa distinzione sulle competizioni che affronta, può vincerle tutte e non si nasconde più, frutto del buon lavoro di programmazione che ha pagato dopo la ricostruzione avviata da Conte e ben sviluppata dalla gestione tecnica successiva. I nerazzurri sono ancora i favoriti principali allo scudetto, forse per questo Gasperini ha nascosto un po’ le carte mollando la presa su questa competizione: l’Atalanta è tra le quelle pretendenti che non si sono ancora del tutto dichiarate (un po’ come il Napoli), ma dopo aver vinto l’Europa League punta il tricolore e si è data delle priorità.
Chi parla di sorpresa per l’altra finalista della Supercoppa non ha le idee chiare su come gli equilibri nel calcio vadano differenziati fra campo ed extra campo, e queste ultime vadano suddivise ulteriormente in programmazione, analisi, furbe strumentalizzazioni e chiacchiere da bar. Al Milan è arrivato un allenatore bravo, che ha semplicemente ricordato – a un ambiente storicamente abituato a vincere – che nel calcio le chiacchiere stanno a zero: Conceicao è consapevole che sarà ritenuto bravo solo se porterà la formazione rossonera al successo, il resto per il bene suo e del club conta poco. E il tecnico portoghese è andato dritto sulla questione: “Non sono qui per fare l’amico, ma per vincere”. È stato decisamente meno chiaro Thiago Motta, le cui parole alla vigilia del match di Riyad sono diventate un boomerang dopo la sconfitta. Dopo aver dato da mangiare ai furbi.
L’allenatore della Juve, che ha grandi responsabilità su come la sua squadra non sia più capace di migliorare da un po’ di tempo a questa parte, è stato chiacchierato perché ha detto di non avere “ossessione per il successo” perché lo ritiene frutto del lavoro. Giusto ricordargli che alla Juve “vincere non è importante ma l’unica cosa che conta”, ma altrettanto corretto – per evitare le trappole dei bene attenti a intermittenza – che quelli di Boniperti erano tempi in cui si ascoltava, oltre a far valere il proprio pensiero. Qualche furbetto del sistema ha fatto passare l’idea che Thiago Motta abbia detto di non aver fame di vincere, invece lui – per rispetto del suo lavoro e del club Juve che lo ha scelto – ha solo spostato il focus sul lavoro che lo impegna dalla mattina alla sera: di certo, non per perdere o per non fare ogni tentativo possibile per ottenere la vittoria sempre.
I problemi della Juve sono tanti, ed enormi. Alcuni ben visibili come lo spazio ridotto (o le prestazioni poco brillanti) ai giocatori sui quali l’estate scorsa si è investito molto, altri almeno ipotizzabili da quanto passa da qualche sorrisino fuori luogo dalla panchina mentre l’allenatore sbaglia alcune letture e la squadra in campo va in difficoltà. Il Milan ha appena risolto un problema simile all’interno con il cambio dell’allenatore, ma mostrandosi debole come club. La Juve, che Thiago Motta l’ha scelto con convinzione e non ha alcuna intenzione di mollarlo adesso, deve trovare altri sistemi per rimettere tutti in linea e unirsi davvero. A partire dal mercato che tanto può dare ma tanto può anche togliere: meglio non escludere sorprese. La decisione di mettere Danilo fuori rosa è stata forte, sicuramente discutibile ma forse anche tardiva: il capitano della Juve – chiunque esso sia – va rispettato e non mortificato con un ruolo da panchinaro senza speranze.
Con Danilo è mancata la chiarezza l’estate scorsa ed è stato un errore: giusto aver trovato una soluzione anche per rispetto dell’uomo e della sua juventinità, che è stata immensa durante gli ultimi anni difficili. Contestualmente, però, appare quantomeno strano che il trattamento riservato al brasiliano abbia toccato la sensibilità di chi, neanche un anno e mezzo fa, aveva supportato la stessa scelta (e lo stesso modus operandi, che resta discutibile) nei confronti di Bonucci, che un pezzo di storia alla Juve l’aveva fatto pure, vincendo giusto qualche trofeo. Il rischio maggiore in questa fase è fare confusione tra chi vuole il bene della Juve e chi no, chi punta a risolvere i problemi e chi vuole aumentarli, chi è pronto a mettersi in discussione e chi sa solo nascondersi. Perché in fondo i risultati sono sinceri, a differenza di chi sfrutta ogni occasione per strumentalizzare il momento.
Giovanni Albanese

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