Quando Sandro Tonali, dopo Atalanta-Milan dell’agosto 2022 mise elegantemente sotto accusa l’atteggiamento dei compagni e la mentalità dello spogliatoio, non fu preso sufficientemente sul serio: chissà, magari se Stefano Pioli avesse operato di conseguenza immediatamente, ci saremmo risparmiati tante delusioni degli ultimi due anni e forse, anche lo sfogo di Paulo Fonseca di mercoledì sera. Perché la fotografia dell’allenatore rossonero è perfetta: è cruda, è oggettivamente sopra le righe dello stile Milan a cui siamo abituati (ma dove è finito in tante altre cose?), ma arriva dal cuore, arriva da una persona che in questo momento ha sposato al 101% la causa. E per questo soffre. Se Paulo Fonseca si fosse chiamato Antonio Fonse, la stampa italiana sarebbe stata un trionfo di elogi: così invece è stato persino attaccato. Fortunatamente, i tifosi del Milan invece, per la stragrande maggioranza, hanno capito, appoggiato e sostenuto. Bene così, avanti Paulo.
Scendendo nel merito del discorso, nel mio piccolo ho sempre sostenuto – da anni -, che sia tutto un problema di mentalità collettiva. Ma non solo. Anzitutto bisogna distinguere i vari “indiziati”: c’è chi ti fa arrabbiare perché potrebbe ma non fa, come Theo, che va però recuperato, appoggiato e protetto in un momento delicato della sua carriera. C’è chi evidentemente ha dato tutto in questa esperienza, come Tomori, e va salutato senza rimpianti. C’è chi ha sempre avuto dei limiti in carriera, come Loftus Cheek, e va valutato così, prendere o lasciare (per me lasciare, già a gennaio). E chi, come Calabria, è ormai fuori dal progetto a 360 gradi: tanto vale meglio non insistere nemmeno più. A ciascuno la sua cura e la sua “pena”: decida il Mister, che con Leao ha avuto più che ragione.
Infine, due facce che spesso vengono confuse: proprietà e società, due realtà invece abbastanza diverse. Da settimane, vi “spoilero” che arriverà il momento di parlare di Red Bird: sembrava maturo, viste le notizie sul vendor loan, ma il ciclone Fonseca ha spazzato via tutto. Un’altra settimana di “tregua” per Cardinale e Ibrahimovic, assente ingiustificato ieri a Milanello, nonostante poi abbia rimediato alla festa del settore giovanile nel pomeriggio: un’altra settimana in cui speriamo, per il bene di tutti, di vedere fatti e non parole, seppur consapevoli ormai che verremo delusi.
Sulla società invece: resto molto, molto confidente nel lavoro di Giorgio Furlani e Geoffrey Moncada, assi incontrastati del loro campo, senza se e senza ma. Tuttavia, un consiglio non richiesto: quando il futuro sarà più nitido, mi piacerebbe che qualcosa del “vecchio” Milan ritornasse. Basterebbe una cena col Dottor Galliani, o anche solo dare più ascolto e importanza ai (pochi) dipendenti che già all’epoca lavoravano per l’azienda, o a chi la frequentava, come giornalisti e glorie della storia rossonera: tanti piccoli dettagli, apparentemente insignificanti ma concretamente tangibili, farebbero fare un ulteriore salto di qualità nell’immagine (e non solo), togliendo un po’ quel velo di “freddezza” che non contribuisce di certo a migliorare i rapporti umani e le connessioni emotive coi tifosi e non solo. In fondo, come Silvio Berlusconi insegnava, non si smette mai di imparare, anche e soprattutto dalle persone “semplici”.