Si dice che quando si tocca il fondo si può solo cominciare a risalire. Vale spesso, non sempre. Vale per tanti, non per tutti. Oggi il Manchester City rischia di dover continuare a scavare. Il club di Al Mubarak sta vivendo il momento peggiore in assoluto degli ultimi 15 anni, da quando il cambio di proprietà ha contribuito a livellare lo storico dualismo cittadino con lo United. Ma a preoccupare, ora, non sono solo i risultati e gli infortuni. È ciò che succede fuori a rendere ancora più teso l’ambiente. Ma andiamo con ordine. Dal 30 di ottobre il City ha vinto una sola partita, in casa, in campionato, contro il Nottingham Forest. A fronte di un pareggio – folle, rocambolesco – contro il Feyenoord sotto 3-0 in Champions League, e 6 sconfitte tra tutte le competizioni. Nell’era Al Mubarak non era mai successo, neanche agli albori del nuovo glorioso corso storico dei Citizens, neanche nei 17 anni di carriera da allenatore di Pep Guardiola.
Hanno faticato un po’ tutti a dare una spiegazione al momento funesto del City. Foden, che ha parlato di sfortuna, e– parafrasando – di normale oscillazione in questo sport, perché in fondo, così va il calcio. Sarà, ma il presente sembra molto più cupo di così. Lo stesso Foden ha recuperato così come Kovacic ma come ha confermato Guardiola difficilmente avranno minutaggio. In aggiunta alle varie pedine ai box: Akanji, Aké, Bobb, Stones e ovviamente Rodri. A tutto questo si è aggiunto il Daily Mail, che ha rivelato pubblicamente la fine dell’udienza sull’accusa riguardante le 130 violazioni finanziare del regolamento della Premier League. Siamo solo all’inizio e tutto può ancora succedere, con un ventaglio di possibilità che comprende multe salatissime, riduzione dei punti o addirittura retrocessione. Presto, prestissimo, per sbilanciarsi. Ma a Manchester poco, quasi niente, gira per il verso giusto.