D’Amor non si vince. A Roma, sponda giallorossa, bisognerebbe capirlo. Il campionato è cominciato nella maniera più disastrosa possibile, dall’esonero di Daniele De Rossi fino a quello di Ivan Juric, arrivando a Claudio Ranieri che sì, è un gestore e sa come arrivare all’anima di una persona, ma di certo da solo non può fare miracoli. Ci è riuscito a Leicester, ci è riuscito più di recente a Cagliari, ma le dinamiche erano completamente diverse e il clima disteso. Un copione totalmente opposto a ciò che sta vivendo adesso nella Capitale, perché mancano gli elementi chiave per poter costruire qualcosa di buono, per cercare di risollevarsi dalle sabbie mobili.
Il compito di Ranieri è complicato perché deve gestire due partite attualmente parallele che però dovranno provare a incontrarsi. Una sulla mentalità dei calciatori, un’altra sulla tecnica: la seconda è diretta conseguenza della prima. Perché senza la mente libera anche il minimo passaggio risulta complicato, perché se hai paura di sbagliare alla fine lo farai due volte. Contro l’Atalanta, nell’ultima gara di campionato, è arrivata una sconfitta figlia di tutte queste paure, di quei freni mentali che i giallorossi si portano dietro da mesi. Perché anche nello scorso campionato questi fantasmi erano presenti. Nascosti, parzialmente, ma presenti. Da agosto in poi il vaso di Pandora è stato aperto, e tutte le paura, ansie, i limiti della Roma sono balzati fuori e hanno preso vita. Sono diventati reali.
Ecco perché Ranieri, gentiluomo d’animo, deve compiere un doppio sforzo in quella che è la sfida calcistica più importante della sua vita. Ma nessuna delle due parti può permettersi di fallire. Ranieri perché non se lo perdonerebbe mai, la Roma perché più in basso di così non si può andare. Le acque, per adesso, sono agitate al limite del naufragio. Domani c’è il Lecce, per provare a compiere il primo, mezzo passo verso una nuova luce propria.