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Calcio

Fonseca e quel vuoto imperdonabile. Conte ha ragione sul protocollo

Paulo Fonseca è una persona gradevole e sarebbe un ottimo allenatore se il giochino si sviluppasse soltanto negli ultimi trenta metri. Ma purtroppo non è così, altrimenti torneremmo nel cortile e giocheremmo con il “portiere volante” come si faceva una vita fa (e forse anche ora per divertimento). In sostanza, non ti preoccupavi di prenderle ma pensavi soltanto a darle. Tuttavia il calcio non è questo, a maggior ragione se sei un professionista e ti hanno dato una squadra da allenare e da organizzare. Ancora di più se questa squadra si chiama Milan e non può vivere di improvvisazione. Vado al sodo: non esiste che, dopo circa cinque mesi di lavoro, l’organizzazione difensiva sia un quiz. Meglio: non esiste che emerga in modo inquietante il fatto di non aver lavorato sulla linea, come si dice, a tutela dei primi trenta metri con gli equilibri che inevitabilmente coinvolgono gli altri reparti. Proprio così, non esiste lavoro e non c’è una base figlia di una semina. Fonseca continua a lamentarsi del fatto che la squadra imbarchi acqua senza soluzione di continuità, ma dovrebbe interrogarsi sul fatto che il vero colpevole è lui e non il salumiere sotto casa. La partita di Cagliari è una fotografia inquietante: ogni cross era un pericolo, sul primo e sul secondo palo, i centrali non sapevano cosa fare e dove andare, i laterali partecipavano a modo loro, l’idea di squadra sempre più misteriosa. Certo, poi dai palla a Reijnders, esalti Leao, capitalizzi Pulisic, ma è come se vedessi il secondo tempo di un film, la trama andrebbe seguita fin dall’inizio. Mi dispiace molto dirlo: manca la base, il lavoro, la semina estiva, la riga da tirare per dire “facciamo così, ci organizziamo così, lavoriamo così, scaliamo così”. È un vuoto imperdonabile se ti chiami Fonseca e se alleni il Milan. Traduzione: se salvassi la stagione, sarebbe un miracolo. Ogni tanto succede, fai un gol in più e speri che basti per nascondere gli orrori difensivi e l’assenza di equilibrio complessivo. Non è un modo di allenare, sarebbe come preparare il pranzo dimenticando antipasto, frutta e secondo: magari mangi un gran primo, sei soddisfatto ma alla lunga ti può restare tanta fame. La domanda che mi fanno: si può rimediare? Il vizio di fabbrica resta quando hai alle spalle quattro-cinque mesi di lavoro. Bisognerebbe recitare a memoria il principale comandamento: prima cosa non prenderle e istruire i tuoi allievi in modo che vadano in campo preparati e non sprovvisti dell’abc necessario. Inammissibile.

Un flash su Antonio Conte: sono d’accordo con lui quando sostiene che il protocollo è un figlio di carta straccia da infilare in un cassetto da chiudere a tripla mandata. E che se un arbitro sbaglia in modo clamoroso, bisogna andare oltre uno stucchevole pilota automatico che non consente di coinvolgere il Var. E proprio per questo motivo non sarei contrario a una chiamata da utilizzare nelle situazioni più controverse. Certo, se Conte ne avesse parlato dopo Empoli-Napoli sarebbe stato meglio: bisogna mettersi in testa una cosa, urge rivoluzionare un sistema incapace di dare regolarità e competenza. Ormai non esiste sabato o domenica di campionato senza tre o quattro decisioni contorte, alcune assurde. Per me l’unica strada sarebbe il commissariamento dell’AIA, lo sostengo da mesi e non cambio idea pur correndo il serio rischio di cantarmela o suonarmela da solo.

Alfredo Pedullà

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