Per raccontare cosa abbia significato per i tifosi del Liverpool Robbie Fowler, bisogna fingersi centravanti. Stare sul filo del fuorigioco, ed aspettare il passaggio giusto prima di fare impazzire la Kop. In questo caso l’assist ci arriva da un altro fuoriclasse senza tempo, forse ancora più iconico di Fowler per la dimensione che è stato in grado di raggiungere nel calcio mondiale: ovvero Michael Owen. Era la stagione 97-98, una delle più disgraziate per la carriera di Robbie in seguito al grave infortunio che gli fece saltare anche i Mondiali di Francia dell’estate successiva. Era l’anno dello sbarco del Fenomeno Ronaldo in serie A, ed anche la Premier League era alla ricerca del suo fuoriclasse in grado di poter fare da contraltare alle prodezze senza epoca del brasiliano. In quella stagione, un all’epoca 19enne Michael Owen si prese le luci della ribalta, con uno score da 18 reti in campionato che ripetuto anche nel campionato successivo, gli consentì di diventare per due volte il capocannoniere della Lega che sarebbe diventata il riferimento assoluto un decennio più tardi. Ebbene, potete immaginare come la fantasia sempre fervida dei tifosi inglesi si potesse scatenare alla ricerca di quello che sarebbe potuto essere il miglior soprannome per un talento così devastante. Qualche stagione più tardi sarebbe diventato per tutti “Wonderboy”, ma all’epoca Anfield Road decise di optare per “Saint Michael”, il Santo. Perchè? Perchè di Dio ce n’era già uno, a Liverpool e dintorni, per tutti “God” era Robbie Fowler.
Definirlo semplicemente come un personaggio fuori dagli schemi, non rende minimamente giustizia a ciò che Fowler ha rappresentato in quegli anni per tutto l’immaginario britannico. Basti pensare che uno dei più grandi simboli della storia del Liverpool, nasce in realtà come tifoso accanito della più acerrima rivale dei Reds, ovvero l’Everton. E che proprio da un’esultanza shock nel Derby del Merseyside, dopo un calcio di rigore provocato da un imberbe centrale dell’Everton di nome Marco Materazzi, ebbero luogo tutti i problemi che portarono al suo primo addio al club della sua vita.
Fowler era reduce da una polemica deprecabile solo qualche mese prima, quando dopo un reiterato e poco amichevole scontro sul campo con il difensore del Chelsea Graeme Le Saux, Robbie reagì con insulti omofobi che alimentarono un caos mediatico in grado di devastare anche lo spogliatoio della Nazionale Inglese.
Una situazione ingestibile, che avrebbe lecitamente suggerito a chiunque dotato di buon senso di limitare gli eccessi dei propri comportamenti per il resto della carriera ad alto livello. Un proposito che, ammesso sia mai realmente esistito nella testa di Fowler, svanì nell’aprile del 1999. Era il giorno del derby di cui sopra, introdotto da dicerie che fomentavano i tifosi dei Toffees contro l’attaccante della squadra rivale, accusandolo di abuso (sempre seccamente smentito dal diretto interessato) di vita dissoluta e soprattutto di sostanze stupefacenti.
Siamo al calcio di rigore causato da Materazzi, dunque, con Fowler che prima ancora di poggiare il pallone sul dischetto e prendere la rincorsa già pregustava quell’esultanza di risposta ai cori della tifoseria avversaria che lo avrebbe suo malgrado perseguitato di lì in avanti. Palla in rete come da copione, e Fowler che si accascia in corrispondenza della linea di fondo, mimando il gesto di sniffarla come se si trattasse di qualcosa di ben diverso rispetto al gesso di Anfield. Potete immaginare ciò che ne conseguì: doppia inchiesta da parte della FA per questo episodio e quello di Le Saux, sei giornate di squalifica e sanzione pecuniaria a cui l’attaccante nemmeno decise di provare ad appellarsi.
Del resto il suo tempo con il Liverpool era finito. Fine dell’epopea da God, ma forse inizio di quella “Gold”, per le sue tasche.
I tempi dei gol in serie, delle statistiche da fuoriclasse, delle giocate in velocità che lo resero emblematico per il mondo del calcio britannico e continentale erano ormai un ricordo.
Fowler per il Liverpool ed i suoi tifosi era davvero tutto: nato nel complicato quartiere di Toxteh, nel Sud della città, vedeva e sottolineava come un trionfo personale quello di non essersi mai piegato alle logiche della malavita, dello spaccio e dell’abuso di droghe nonostante le frequentazioni che l’adolescenza gli aveva riservato. Figuriamoci se avrebbe mai potuto tollerare di essere accusato di essere lui in prima persona dipendente da qualcosa di diverso rispetto all’adrenalina dell’area di rigore, o dalla bella vita che era stato in grado di costruirsi, tra lustrini, paillettes ed anche un bel po’ di cervello come scopriremo tra poche righe.
Intendiamoci, ci fu spazio anche per molto altro, basti pensare che quasi in contemporanea con David Beckham, anche Robbie Fowler riuscì a guadagnarsi l’appellativo di Spice Boy in virtù di una frequentazione approfondita con Emma Bunton, un’altra delle Spice Girls che imperversavano all’epoca.
Siamo all’età dell’oro, come abbiamo sommariamente anticipato. Perchè se da una parte la fase finale della carriera da calciatore di Fowler dopo il primo addio ai Reds fu contraddistinta da un lento ma inesorabile tramonto, con il solo apice della commovente standing ovation della sua gente dopo che Rafa Benitez lo richiamò in Reds nella stagione 2006/07. Dall’altra proprio negli anni del Leeds, del Manchester City e poi ancora del peregrinare tra club minori britannici e avventure nel calcio australiano e thailandese, il folle bomber della Mersey si trasformò inesorabilmente in equilibrato ed illuminato imprenditore immobiliare. La capacità di Robbie di cavalcare gli anni del boom immobiliare in quell’epoca fu straordinaria, al pari delle sue scelte di investimento senza sosta che portarono una delle sue tifoserie dell’epoca, quella del Manchester City, a mutuare una delle più celebri canzoni dei Beatles per ideare un coro ad hoc per l’attaccante: “We all live in a Robbie Fowler House” (viviamo tutti in una casa di Robbie Fowler), superfluo specificare sulle note di quale canzone.
Una carriera, quella della seconda vita di “God”, che è arrivata a portargli in dote soddisfazioni paragonabili se non addirittura superiori a quella precedente da fuoriclasse ed eroe della sua stessa città.
Basti pensare che un approfondimento del Sunday Times arrivò ad identificarlo come uno dei mille uomini britannici più ricchi esistenti, che arrivò a coronare il sogno di comprare assieme all’amico fraterno e compagno di scorribande Steve McManaman un’intera scuderia di cavalli la “Macca and Growler partnership”. O ancora che valutando l’interezza di business ed attività imprenditoriali costruite, Robbie Fowler figuri nella top 5 dei calciatori britannici più ricchi di sempre.
L’ultima giocata? Semplice ma geniale: la vendita del proprio “knowhow”. Letteralmente, l’intuizione di fare vita alla Robbie Fowler Property Academy attraverso la quale i dipendenti dell’ex centravanti impartiscono lezioni di mercato immobiliare per chiunque abbia la velleità di crearsi uno spazio rilevante in quel business. In mezzo anche una carriera saltuaria da allenatore, che tra le varie destinazioni esotiche lo ha portato anche in (indovinate un po’?) Arabia Saudita per sedere fino all’ottobre dell’anno scorso sulla panchina dell’Al-Qadisiyah.
Da God di Liverpool, a Goldman del calcio britannico. E intanto, da quelle parti, vivono tutti in una casa di sua proprietà.
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