La strana storia di Andy Carroll

Se la vita di Andy Carroll fosse un film, il giudizio della critica non sarebbe benevolo. Sceneggiatura inverosimile, troppi cambi di trama, poca coerenza nell’arco narrativo: le recensioni solleverebbero in coro questi problemi. Carroll ha “solo” 35 anni, anche se sembra appartenere a un calcio lontanissimo, a un’epoca sportiva differente, quasi sbiadita. Forse perché ha vissuto talmente tante vite in campo che hanno in qualche modo condizionato e modellato la nostra percezione del tempo.

Per l’Oxford English Dictionary il termine Geordie si utilizza per descrivere “un nativo o un abitante del Tyneside o di una regione vicina dell’Inghilterra nord-orientale”, oppure “il dialetto o l’accento delle persone del Tyneside, specialmente Newcastle-upon-Tyne, o (più in generale) delle regioni vicine dell’Inghilterra nord-orientale”. Ma essere Geordie è molto più che un’indicazione geografica o linguistica. La storia di Andy Carroll in qualche modo aiutare a capire perché i connotati siano decisamente più profondi: il fatto di essere nato a Gateshead, città “specchio” di Newcastle sulla riva meridionale del Tyne lo qualifica come tale, il contesto familiare e le tappe della sua peculiare carriera ne accentuano il significato. Dal padre operaio in un cantiere navale come nel più aderente cliché sulla working class del nord dell’Inghilterra, all’amore acritico verso il calcio e il Newcastle United.

Il ragazzo cresce in fretta e ha una voglia matta di giocare a pallone, e di farlo soprattutto nel Newcaslte. Alto e forte fisicamente, tanto da impressionare ogni tecnico e ogni scout che si aggira nel Tyneside. “Andy ha avuto bisogno di un po’ di aiuto qua e là, ma il suo desiderio di imparare era di un altro livello rispetto agli altri”, ha detto qualche anno fa Terry Ritson, che ha allenato Carroll al Redheugh Boys’ Club di Gateshead (lo stesso club dove, tra l’altro, hanno giocato anche Paul Gascoigne e Don Hutchison). La gavetta lo aiuta a sgrezzarsi, a ripulirsi tecnicamente e ad affinare il suo istinto negli ultimi metri, che si rivelerà per larghi tratti letale. Ma soprattutto, lo aiuta a farsi trovare pronto quando il Newcaslte – il club per cui ha sempre tifato – mette per la prima volta gli occhi su di lui, dopo che altri club di Premier avevano gravitato intorno alla famiglia Carroll in quel periodo.

A 17 anni passa da abbonato fisso alla Milburn Stand di St. James’ Park a membro dell’Academy dei Magpies: praticamente il sogno più grande di ogni bambino nato a cavallo del fiume Tyne. Segna il suo primo gol tra i grandi in un’amichevole contro la Juve nel luglio 2007, a Gigi Buffon, finendo poi in prestito al Preston North End alla fine dell’estate, dove il minutaggio elevato lo aiuta a farsi un nome e distribuire concretamente il suo enorme potenziale. A gennaio rientra alla base, cominciando a registrare le prime presenze a St. James’ Park, che convinceranno lo staff a tenerlo in casa anche per l’anno successivo. Salta tutta la prima parte della stagione 08/09 per un infortunio alla caviglia, rientrando gradualmente in rosa nelle settimane a venire. A gennaio segna il suo primo gol ufficiale in un Newcastle in crisi e a un passo dalla retrocessione, che poi si materializza a maggio sullo sfondo di une delle prime e collettive rivolte del tifo bianconero verso il proprietario Mike Ashley.

La mini-diaspora del reparto offensivo dopo l’addio alla Premier League crea il perfetto contesto per permettere al ventenne Andy Carroll di prendersi l’attacco del Newcastle. È qui che la storia di un attaccante atipico, sgraziato e quasi anacronistico ma tremendamente affascinante comincia davvero a prendere forma. Un “gargoyle”, una “wrecking-ball” umana come lo definì sull’Independent da Jonathan Liew qualche anno fa. Carroll diventa inarrestabile e imprescindibile: segna 19 gol (molti dei quali di testa, suo grande marchio di fabbrica) in 42 presenze complessive, contribuendo in maniera rilevante alla promozione del Newcastle dopo un solo anno di Championship, la seconda divisione inglese.

Ai tempi Carroll conduceva quella che The Athletic si limitò a descrivere come “Newcastle kind of life”: giocava per la sua squadra del cuore, beveva con i compagni, amava i locali notturni (come il Diamond Strip, l’Aspers Casino, il Charlie’s Bar o il Blu Bambue) ogni tanto si lasciava andare a qualche episodio che non ha contribuito a rendergli la vita semplice con i taloid inglesi. Una rissa in pub, un presunto alterco in allenamento con tanto di frattura della mascella a Steven Taylor e un’accusa di aggressione (poi caduta) che aveva comportato per un periodo la libertà vigilata. L’espressione “real Geordie teenage lad” (“un perfetto adolescente Geordie”) utilizzata dal suo ex compagno Peter Ramage è un accurato dipinto del giovane Andy Carroll.

La prima gara in casa della stagione 2010/2011 è contro l’Aston Villa. I Magpies vincono 6-0 e Carroll segna tre gol con la 9 sulle spalle che apparteneva prima di lui a Kevin Keegan, Andy Cole e Alan Shearer. L’amore sboccia definitivamente e il ragazzone di Gateshead chiude il 2010 con 20 presenze e 11 gol. Newcastle lo adora e St. James’ Park intona i primi cori a lui affettuosamente dedicati, come “He shoots, he scores, he’ll break your fucking jaw, Andy Carroll, Andy Carroll” (“tira, segna, ti rompe la mascella”, con riferimento all’episodio avvenuto in allenamento con Taylor) che racchiude perfettamente il legame unico tra il giocatore e la stupenda tifoseria del Newcastle.

La prima vera grande svolta nella sceneggiatura arriva proprio a gennaio. In maniera inattesa, fastidiosamente sorprendente. Come in quelle serie tv in cui tra una stagione e l’altra recidono dalla trama un personaggio a cui ti eri affezionato. Nel mercato invernale il Liverpool cerca disperatamente un attaccante per sostituire Fernando Torres, che sarebbe passato al Chelsea. I Reds pensano proprio al 9 del Newcastle, insieme a Luis Suarez. Inizialmente sembravano due alternative, poi il 31 gennaio il Liverpool ufficializza entrambi, arrivando a offrire 35 milioni di sterline ai Magpies per Carroll. Senza il minimo sentore di un plot twist simile e senza neanche aver avuto il tempo di preparare i bagagli, il classe 1989 si ritrova a uscire quasi di nascosto dai campi di allenamento del Newcastle, prendere un elicottero e firmare con la sua nuova squadra, diventando il calciatore britannico più pagato nella storia del calcio inglese.

A Liverpool la carriera di Carroll non è specchio fedele delle aspettative che chiunque aveva ricamato da mesi su di lui. Complice anche un infortunio già presente prima del suo arrivo nel Merseyside, per vedere la sua prima marcatura in maglia Reds bisogna aspettare l’11 aprile, quando una sua doppietta fa esplodere Anfield nel 3-0 contro il Manchester City. Saranno però gli unici due gol segnati con i Reds nella stagione 2010/2011. In quella successiva le cose vanno meglio dal punto di vista fisico, ma non da quello realizzativo: i gol saranno 9 in 47 presenze totali. Pochi, ma spesso memorabili, come quello in semifinale di FA Cup nel derby contro l’Everton. Un tratto singolare, questo, che ha contraddistinto pressoché ogni fase della sua carriera.

Il peso di quel sigillo non basta a garantirgli la permanenza a Liverpool. Verso la fine dell’estate 2011 finisce al West Ham: nonostante si tratti solamente di un prestito, non vestirà mai più la maglia dei Reds. Nel 2012 torna nell’est di Londra, sempre a titolo temporaneo, prima del riscatto l’estate successiva. Con gli Hammers gioca 7 stagioni e nonostante salti 152 gare per infortunio, al Boleyn Ground diventa un idolo. 34 gol in 142 presenze non sono certo tanti, ma come spesso gli è capitato, bastano per imprimere comunque la sua singhiozzante parentesi nel cuore dei tifosi. Anche grazie a reti spettacolari, proprio come quella in rovesciata contro il Crystal Palace che ancora oggi fa venire la pelle d’oca a chi era presente quella sera al London Stadium.

Dopo la turbolenta stagione 2018/2019 con il West Ham (condita da appena 12 presenze e nessun gol), Carroll decide di tornare a casa sua, nell’ennesimo colpo di scena della sua carriera. “Sono completamente cresciuto”, dice prima del suo esordio bis con il Newcastle. Le ragazzate sembrano un ricordo lontano, ma purtroppo anche le giocate dei giorni di gloria. In 43 presenze complessive segna un solo gol in casa contro il Leicester City nel gennaio 2021: un’allucinazione di ciò che avrebbe potuto essere, ma che alla fine non è stato, frantumando le speranze di chi a St. James’ Park non aspettava altro che rivedere lampi di classe di quel ragazzone Geordie con la coda di cavallo.

Il tramonto è un dato oggettivo, ormai, anche se le sorprese ovviamente non mancano. Carroll passa in Championship, prima al Reading, poi al West Bromwich e infine ancora al Reading, di rientro dal prestito. Tornano i gol e tornano sporadicamente anche quelle prestazioni che nei primi anni ’10 avevano fatto credere a tutta l’Inghilterra di avere tra le mani un diamante solo da levigare. Dopo 14 gol in Championship, a 34 anni, decide nuovamente che è arrivato il momento di cambiare ancora. Nella maniera forse più impensabile possibile.

Nell’estate di un anno fa sceglie l’Amiens, in Ligue 2. Che Carroll sia un tipo particolare è sempre stato abbastanza ovvio. Ma forse non a tal punto da scegliersi di senza motivi apparenti un club nella seconda divisione francese. “Fresh start”, la definisce al Daily Mail. Un nuovo inizio, nella città dove morì Jules Vernes e dove è situata la più grande delle cattedrali francesi. “È a un’ora e mezza di macchina da Calais e posso prendere la navetta per tornare a Epping, dove c’è la casa di famiglia”, ha spiegato. Chiude la stagione con 28 presenze e 4 gol, di cui – ovviamente – uno spettacolare da metà campo.

Ma anche qui, pure in quella che sembrava l’ultima destinazione prima della pensione, rimane poco. Giusto il tempo di prepararsi e prepararci all’ennesima scelta bizzarra della sua coloratissima e imprevedibile carriera. Dopo 4 presenze con l’Amiens quest’estate, scende di oltre 700km nel sud del Paese e di due categorie nella piramide del calcio francese per suggellare un’unione che ha – ancora una volta – del cinematografico. Una nobile decaduta che abbraccia una promessa mai rispettata, pronta a infilarsi l’elmetto e sguainare la spata per riportarla nell’élite del pallone transalpino.

Il Bordeaux – fresco di un fallimento che ha costretto i Girondins a ripartire dalla quarta divisione – sceglie di affidarsi a Andy Carroll per ritrovare la gloria dei tempi perduti. E forse un po’ anche viceversa. “Il mio stipendio è inferiore all’affitto che pago”, ha dichiarato Carroll a L’Equipe questa settimana. “Se sono arrivato al Bordeaux non è per soldi. Mi è stato proposto di giocare in Arabia Saudita, ma non ero interessato… Mi piacerebbe continuare a giocare ogni sabato almeno fino a 40 anni, a qualsiasi livello. Il mio obiettivo è diventare un LeBron James, cioè giocare nella stessa squadra di mio figlio maggiore, Lucas, che ha 14 anni. Sarebbe meraviglioso vivere questa esperienza, a Bordeaux o altrove”. Se non è cinema questo.

Intanto l’incipit è stato incoraggiante. Si è presentato con due doppiette in due partite, nelle quali ha fatto ovviamente sfoggio dalla solita immutabile coda di cavallo che ha già fatto impazzire i suoi nuovi tifosi. Insomma, l’ultimo capitolo della strana storia di Andy Carroll è già una favola, a prescindere da quali impronosticabili bivi prenderà.

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