Il discorso è molto semplice: dopo una situazione come quella durante Fiorentina-Milan e l’ennesimo ammutinamento nei riguardi di Paulo Fonseca sarebbe stata necessaria una presa di posizione. Fortissima e possibilmente pubblica, piuttosto che il silenzio classico delle proprietà americane (ogni riferimento ai Friedkin non è certamente casuale). Furlani aveva parlato di “non evento” in riferimento al famoso cooling break durante Lazio-Milan che aveva portato Leao e Theo Hernandez a distanza siderale dai compagni e dall’allenatore, come se l’argomento fosse un inutile riempitivo. A Firenze, tradito da chi non aveva seguito gli ordini di scuderia in occasione di un calcio di rigore, lo stesso allenatore ha voluto denunciare tutto a caldo. Pensando di sbugiardarli, quando sarebbe stato più giusto un intervento pubblico e ufficiale della società. Ma il club ha preferito lavare i panni sporchi in famiglia, non immaginando che la toppa talvolta può essere più grande del buco. Non entriamo nelle vicende tattiche e nella scelta degli uomini (sostituzioni comprese), eppure ci sarebbe molto da dire. Ma Fonseca bypassato nuovamente è una roba più grande, più grave, più profonda. Attenzione: il Milan è strapadrone di andare avanti con Fonseca fino alla scadenza del contratto, ignorando dinamiche che hanno la precedenza su qualsiasi altra vicenda. Ma in questo modo, all’interno di un’anarchia di qualche big ritenuta quasi ordinaria amministrazione, il pericolo è quello di farsi male da solo. Meglio: si è già fatto male, ora si tratta di capire per quanto tempo vorrà vivere una situazione surreale e che calpesta l’abc necessario perché un gruppo di lavoro possa essere considerato tale.
Fiorentina-Milan ha lasciato un altro segnale importante, questo: il mercato viola dell’ultima sessione è stato competitivo, probabilmente il migliore dell’era Commisso. E ora anche Palladino si è sintonizzato, ha memorizzato di avere materiale importante tra le mani, sarebbe bastato vincere qualche partita quando invocava acquisti, a maggior ragione contro squadre che la Fiorentina avrebbe dovuto battere a prescindere. Adli a centrocampo è un bell’ingegnere, costruisce gioco, giusto dargli le chiavi della fuoriserie. Ma ci sono state operazioni buone in ogni reparto, inutile parlare di Gudmundsson che è una garanzia a prescindere, Kean farà molto bene e non può essere giudicato per un calcio di rigore sbagliato. Anche perché, all’interno della stessa partita, Moise si è fatto un mazzo cosi, dimostrando di non essere soltanto l’attaccante che ha l’obbligo di buttarla dentro. Ma se dovessi scegliere l’operazione migliore, non ci sarebbe mezzo dubbio: David de Gea. Guardate le cifre: nessun esborso per il cartellino, un milione di ingaggio più bonus, emolumenti che sarebbero raddoppiati nel caso in cui fosse cavalcata l’onda dell’opzione rinnovo. Se fossi la Fiorentina, lo farei domattina senza pensarci un secondo. Proprio vero: de Gea è stato un portiere clamoroso, tra i big in Europa, che ha ritrovato l’entusiasmo e la convinzione migliori. Lasciamo perdere i rigori, logica conseguenza del bagaglio di un grande specialista, ma basterebbe guardarlo dal vivo – magari nei momenti morti di una partita – per capire bene l’importanza. Non quella di avere un semplice e bravo interprete del ruolo, già sarebbe tanto, ma un leader che trasmette fiducia soltanto guardandolo negli occhi. David si sta divertendo tanto, lo si capisce dalla spontaneità e dai gesti per caricare la folla: il suo arrivo a Firenze va catalogato alla voce “affari clamorosi”.