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Calcio

Il segreto della Juve non è Thiago Motta. Tifosi e stadio, qualcuno mente

Dice Thiago Motta che “bisogna archiviare e pensare in avanti”. Pensiero che, sovrapposto all’idea che l’azione del gol decisivo di Lipsia (in rimonta, in 10) sia stato ancora più bello del gol stesso, potrebbe bastare per mettere tutti dalla stessa parte per condividere un punto di vista comune. L’ultima serata europea è stata bella ed entusiasmante: ma non si vive solo di ricordi. Certo, alcuni passaggi contano eccome. Un metro più in là del campo, di fianco all’allenatore e a pochi passi dalla sua squadra, c’è una società che presidia ogni piccola evoluzione di un progetto che è appena iniziato e per questo va supportato e alimentato con sano entusiasmo. Le cose alla Continassa non stanno funzionando perché è arrivato Thiago Motta, seppur accolto come un messia da almeno metà della tifoseria, ma perché al centro sportivo bianconero ognuno è tornato a fare il suo senza invadere le competenze d’altri. Ecco, chi non lo dice mente ed è complice: i primi incendiari di fazioni spesso inutili erano fino a poco tempo fa dentro la Juve e non fuori. E no, non era più una Juve all’altezza della sua storia nell’ultimo periodo: lo sa bene (e non potrebbe essere diversamente) anche chi la storia l’ha fatta in Italia e in Champions League, e merita un posto in poltrona d’onore per sempre fra i tifosi più giusti. Ma con la stessa onestà intellettuale bisogna riconoscere che alla Continassa c’è di nuovo il sereno solo perché la voglia di migliorarsi è tornata a essere centrale: senza alcun bisogno di prevaricare per giochi di potere inutili.
Quando Thiago Motta che bisogna di partita in partita è banale, ma vero. Perché una partita col Cagliari vale esattamente quella con il Lipsia, pur facendo sponda su due competizioni diverse: e siccome non c’è posto neanche per i vice (ecco perché quelli storici sono stati messi sul mercato in estate) non deve sorprendere se da un match all’altro l’allenatore esclude i migliori, McKennie e Fagioli, per affidarsi a Douglas Luiz e Locatelli, ritenuti di pari livello ai titolari. Quest’abbondanza un anno fa era utopia, ma confrontare due stagioni diverse è un gioco pericoloso e quasi ingiusto. Com’è ingiusto non ricordare in questi giorni che la Juve è l’unico club che certe problematiche – oggi d’attualità in altre piazze – le ha affrontare con coraggio e senso di responsabilità. La Juve denunciò chi si nascondeva fra i suoi tifosi per fini poco limpidi, che non stava al club chiarire ma alle istituzioni. Continua a farlo (da sola) quando durante una partita qualcuno assume sugli spalti un comportamento poco congruo ai valori dello Sport. Ecco, chissà perché un esempio così virtuoso non sia stato preso in considerazione da altri nel frattempo: al posto di creare contesti di discussione fuorvianti per strumentalizzare la vicenda contro una squadra che vinceva. Di esempi di cosa necessiti nel calcio per pensare in avanti – la Juve – ne ha dati molti: con lo stadio, il centro sportivo, la squadra femminile e ancora il progetto Next Gen. Avere allestito il circo mediatico per molto tempo, oggi, – probabilmente -, crea tanto imbarazzo, ma il mondo del calcio ha bisogno di trasparenza, di aziende pulite e soprattutto di protagonisti esemplari. Oltre che di narrative giuste, senza veli impregnati di visioni distorte, soggettive, date in pasto al popolo come merende.
Torniamo sul campo. Lo stop di Bremer è pesante: perché il brasiliano finora è stato l’unico intoccabile della difesa e perché, senza di lui, la Juve qualcosa perde. Thiago Motta ha tenuto una seduta di convincimento sul concetto di resilienza: prima con i suoi e poi in sala stampa, dove ha tolto pressione dal club mostrando le tante altre alternative. Qualcosa serve però, sia in difesa che in attacco. Milik ne avrà per altri tre mesi e lo stop improvviso di Nico Gonzalez, per un mese, mette a nudo le crepe di una rosa che è stata rivoluzionata in estate ma non ancora abbastanza per essere considerata completa. Serviranno forse degli anni prima di giungere al livello top in ogni ruolo, con altre scelte forti come la maggior parte dell’ultima estate. Danilo non è un caso ma certamente un costo senza il sostegno del campo: giusto tenere d’occhio lui, a gennaio, come qualche altro giovane che dopo l’exploit iniziale sembra essersi cullato di avere il sogno in mano. Perché in questa Juve c’è spazio solo per chi ha davvero voglia di mettersi a disposizione della squadra e dell’allenatore, e di evolversi quotidianamente. In chiusura una questione di cui si parla poco ma è giusto farlo, per chiarezza: non c’è ancora lo sponsor di maglia per la Signora d’Italia, che però da inizio stagione – grazie a una politica dei costi attenta alle esigenze dei tifosi – riempie lo Stadium in ogni posto disponibile. La migliore proiezione per un accordo commerciale non supererebbe il valore di un giovane cresciuto nel vivaio e valorizzato come si deve… siamo così certi che l’evoluzione di questo mondo non ci stia portando da altre parti anche sulle partnership commerciali? Il club sta ospitando sulla maglia “Save the children”, così da ottimizzare lo spazio con uno scopo solidale: e nel frattempo ha avviato una serie di partnership su altri livelli da studiare bene.
Giovanni Albanese

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