Un’impresa sfiorata. Un muro crollato soltanto all’ultimo respiro dopo quasi un’ora di inferiorità numerica. All’Etihad. Contro i campioni in carica del Manchester City. Contro chi, allievo Arteta, quest’anno vuol continuare a combattere, maestro Guardiola. Arsenal, altro che bella incompiuta: consacrazione e mentalità. Come se ci fosse bisogno della prova del nove, stavolta è arrivata la prova del dieci. Senza lode, quella sfumata all’ultimo istante. Accarezzato un maestoso colpo mediatico che resta comunque statement, col 2-2 di Stones arrivato soltanto all’ultima mischia, dopo un’ora di straordinaria resistenza senza precedenti. Perché nel calcio, moderno o meno, sussistono sempre gli stessi banchi di prova per mostrare al mondo se s’è pronti a raggiungere un determinato traguardo, quando devi dimostrare compattezza, solidità e nervi saldi nei momenti che pesano, quelli che scottano.
Altro che bella e incompiuta: i Gunners ormai un’armata, un muro quasi invalicabile. Un muro che come direbbe Antonio Conte sa come “sporcarsi le mani” quando necessario, tosti e compatti, forti sulle seconde palle. Arsenal, altro che bella incompiuta: consacrazione e mentalità. Trasformazione e fatidico salto di qualità. Un team che ha capito soprattutto che nella contemporanea Premier non puoi esser sempre brillante o bello e spettacolare, a volte va portato a casa il risultato senza splendere. Merito di un Arteta manager sempre più completo che a differenza di tanti presunti eredi “guardiolani” sa bene che a volte per conquistar bottino pieno è necessario ridiscutere la propria filosofia. Si guardi anche il North London Derby del weekend precedente: Postecoglou gioca, Arteta vince. Fisicità e corner, cronico difetto contemporanei Spurs: Gabriel sempre in cielo come all’Etihad, uno a zero e tre punti in cassaforte.
Ecco come si lotta fino alla fine per provare a minacciare l’egemonia da record del Manchester City di Guardiola, tecnico dalle sei Premier in otto stagioni britanniche. Anche ed a tratti soprattutto così. Quindi, ciò che si vuol sostenere all’interno di tali argomentazioni, è che senz’altro per tre quarti di stagione ammireremo il solito Arsenal bello come pochi, espressivamente radioso ai massimi livelli, ma sono proprio i punti quando meno brillante che faranno la differenza, quei punti che per l’appunto il team ha dimostrato di saper far, di saper portare a casa.
E che l’Arsenal sia pronto a lottare ancora col Man City non fa certamente più mistero: quest’anno però, al terzo tentativo di quel che presumibilmente alla lunga sarà ancora corsa all’oro, il sogno è chiudere col musetto davanti, magari ribaltando quel 91 a 89 che archiviò l’edizione di Premier 23/24. Arteta ha ulteriormente rilanciato, come mostrano i colpi di gente del calibro di Calafiori, Merino e Sterling: prospettive ed esperienza al tempo stesso, rosa più larga, ancor più scelta, un cocktail perfetto. Colpi in entrata mirati ad allestire e migliorare passo dopo passo tasselli e organico, anno dopo anno. Lo dimostra l’esplosione di Raya che ha significato partenza di Ramsdale direzione Saints, lo dimostrano Zinchenko e Gabriel Jesus anni fa esuberi del Manchester City ai tempi fondamentali per tornare stabilmente in Champions ma che oggi, per l’ennesimo e ulteriore salto di qualità, fanno spesso panchina superati nelle gerarchie da gente come Timber, Havertz e lo stesso Calafiori.
Tempo e programmazione, lungimirante, in tanti anni di progetto. Tutto allestito, pensato e nutrito dal feeling, anche questo aspetto fondamentale nei grandi club, tra allenatore e direttore sportivo, il feeling tra Arteta ed Edu. E così il tecnico, sempre sulla stessa lunghezza d’onda e col pieno supporto del club, coi risultati conseguiti ha rispecchiato lungimirante programmazione. Dai 59 punti appena subentrato nel 2019 a crescere anno dopo anno, 61 la stagione successiva, 69 nel 21/22 fino agli ultimi step, 84 nel 2023 più 89 del 2024, le stagioni delle corse all’oro. Un viaggio di nozze, quello tra tecnico e club, destinato a proseguire fino al 2027: anche il rinnovo del contratto stesso, arrivato dieci giorni orsono, diventa chiaramente luccicante specchio e fotografia di quanto argomentato e costruito. Adesso serve solo scalare l’ultimo gradino per coronare il sogno e centrare l’Olimpo: riportare la Premier a Londra nord, vent’anni dopo gli Invincibili.
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