Chiedi chi era Schillaci. Il mio Totò, quel tempo passato con lui. Perché eravamo tutti fratelli di Totò

“Anche perché non sto molto bene”. E poi sono seguiti dei minuti di un racconto raggelante in quell’automobile, seppure uscito con naturalezza dalla sua bocca, ma senza che nulla avesse fatto presagire quello che stava per dirmi, né nel suo umore, né tantomeno nel suo atteggiamento, sempre coinvolgente, amichevole e dolce.

Non c’è un’oncia da aggiungere a quanto tutti conosciamo di Totò Schillaci, alle sue imprese, alla sua vita straordinaria attraversata con semplicità. E’ il Totò dal vero, nella vita reale, quello che non si conosce e che rende tutto ancora più incredibile, della sua esistenza e del suo essere.

In una di quelle giravolte assurde che dà la vita, che ti lasciano in silenzio a guardare dal finestrino il mondo che scorre da fuori la macchina che ti riporta all’aeroporto, mentre dentro ti chiedi se quello che hai appena vissuto è stato un sogno, ho avuto la fortuna di poter passare del tempo assieme a Totò Schillaci, stando con lui quasi una settimana per girare un documentario sui Mondiali ’90 per Sky UK poco più di due anni fa – un documento che a rivederlo oggi ti riduce il cuore uno straccio.

Una situazione e un racconto in sé che per strati contiene tutta la complessità di un uomo dal cuore semplice come Totò. C’è il livello più conosciuto e diffuso su Schillaci: ovvero quella dimensione internazionale, quel rispetto guadagnato in tutto il globo e tuttora intatto di cui godeva Totò. Perché se per noi era il mito da ragazzini entrato poi nell’immaginario collettivo, beh all’estero era la raffigurazione del periodo più bello dell’Italia. Se pensate che gli inglesi, sempre così autarchici e alteri, per girare un documentario su Italia 90 – il Mondiale per loro più dolce dopo quello del 1966 – hanno deciso di dedicare la prima di quattro parti tutta alla figura di Totò, venendo a Palermo per mostrare la sua vita e la sua realtà, questo vi fa capire allora quanto Schillaci avesse superato spazio, tempo e confini.

C’è poi un secondo livello, quello direi percepito da tutti, ovvero la maniera di vivere di Totò, che ha contribuito a rendercelo così nostro e vivo. In quella settimana ci portò a Palermo sui suoi luoghi, ci raccontò snodi incredibili della sua vita, ci rese quella dimensione semplice e al tempo stesso incredibile data la sua parabola, che ha portato tutti naturalmente a volergli spontaneamente bene.

E poi, c’è lo strato più profondo. L’essere di Totò. Il suo spirito che solo avendo la fortuna di stargli accanto potevi avere il privilegio di conoscere.

Se esiste una persona al mondo a cui si applica la frase “Nella vita privata è esattamente come sembra”, quella persona era Totò Schillaci. Vi riporto nell’abitacolo di quella macchina dove eravamo a inizio di questo racconto. E’ un tiepido pomeriggio di bella primavera a Palermo, e stiamo attraversando la città con lui alla guida che sta per accompagnarmi dove ho bisogno. Non ho sbagliato a scrivere. Alla fine della penultima giornata assieme, da ritmi massacranti registrando da mattina a pomeriggio e cambiando differenti location, in movimento ed essendo sempre brillante (e con gli intermezzi di bagni di folla per strada che potete immaginare a cui lui si concede sempre senza sconti, non lasciando nemmeno una persona con la sua richiesta di selfie inevasa) è Totò che mi sta accompagnando in macchina. Perché questo era lui: ti chiedeva se avevi di bisogno, era gentile, era intimo senza che fossi tu a spingere i confini. Un altro ti avrebbe salutato e arrivederci a domani, al massimo ti avrebbe chiamato un taxi, e lui invece era premuroso con le esigenze di tutti. Un gesto questo come altri – “Avete mangiato?”, “Avete bisogno?”, “Cosa volete fare?” – che rivela il profondo di cos’era Totò. Il figlio più amato di Palermo, che a Palermo apparteneva.

Il campo che lui aveva rilevato tornando dal Giappone, la storica scuola calcio “Louis Ribolla”, con cui aveva provato a restituire alla città la sua fortuna. Se da una ventina d’anni Palermo è diventata eccellenza, invece quando Totò prima esplose e poi tornò e mise in piedi un centro di alti standard, beh eccellenza Palermo proprio non lo era, e per durare nel tempo a una realtà servivano soldi e generosità d’animo.

Cosa che Totò non ha risparmiato mai, fino all’ultimo. A partire come dicevo, dal gesto più semplice.

Migliaia sono i bambini che hanno frequentato la scuola calcio incastonata a cavallo di una delle aree più difficili, e per molti la scuola calcio era davvero l’unica alternativa a una esistenza complicata. E anche se non è quantificabile, sono tantissimi, ma davvero, quelli che Totò ha aiutato senza fare pubblicità, pagandogli la retta che la famiglia non si sarebbe potuta permettere. Un filo di amore dove tutto si tiene.

Un amore viscerale, profondo e semplice che è difficile da spiegare. Per noi palermitani, Totò è stato il primo motivo d’orgoglio per tanto tempo, in anni in cui Palermo era ogni giorno al telegiornale e sempre per notizie dolorose. Per la prima volta in tutto il mondo si parlava di Palermo con ammirazione, e lo si doveva solo a lui.

Quando la vita mi ha fornito un biglietto di sola andata nella meraviglia di poter passare una settimana con lui, con tutto questo arrivavo, e con il privilegio di essere entrato incredibilmente per un secondo nella storia di Totò Schillaci.

7 luglio 1990, finale a Bari per il terzo posto Italia-Inghilterra. Io sono in tribuna Ovest, i posti migliori, che mio padre vecchio tifoso del Palermo che mai più è tornato allo stadio da quando è retrocesso, ha deciso di regalarci solo per i Mondiali.

Prima di entrare ho preteso che mi comprasse una bandiera dell’Italia con Totò Schillaci in mezzo. Quella più famosa con il volto e la scritta ‘Totò Gol’ è esaurita, allora devo ripiegare su quella con la sua figura intera e con maglia azzurra, e la scritta ‘Totò 90’. Quando entriamo in tribuna, troviamo immediatamente dietro di noi la telecamera della Rai, quella gigante da campo, da studio, messa per l’occasione speciale. Ti senti al centro del mondo. L’Italia vince, segna Totò, festa di tutti.

Torniamo a casa, e vogliamo rivedere subito la partita registrata. E gira la testa, quando al momento del gol di Schillaci, la regia stacca sulla telecamera presente in tribuna autorità, e riprende l’esultanza di uno stadio da dietro una bandiera sventolante con Totò, l’unica presente in tribuna, sorretta da una manina. La mia. Quell’immagine entra per sempre in ogni replay, in ogni ricordo, in ogni documentario, anche in quello inglese che sto girando 30 anni dopo. Quella bandiera mi ha accompagnato in ogni viaggio, in ogni esperienza, negli anni vissuti all’estero. Era la mia coperta alle 2.00 di notte sulla panchina di Unter den Linden a Berlino, era già 10 luglio del 2006, quando la notte magica finalmente si era compiuta.

Andai a passare una settimana con Totò con dentro tutta l’emozione, la gratitudine, l’ammirazione, di un bambino mai cresciuto, come noi tutti siamo quando la palla gira.

Quello che non sapevo era che avrei conosciuto una persona straordinaria nella sua semplicità, impossibile da mantenere attraverso una vita straordinaria quale lui aveva vissuto.

Totò era naturalmente intimo e altruista, condivideva e dava. Forse non chiedendosi nemmeno se fosse giusto, ma semplicemente vivendo secondo i propri valori, vivendo con sentimento.

Così si finisce in quel pomeriggio di bella primavera in quell’automobile, dove naturalmente condivise con me il racconto della prova a cui lo stava sottoponendo la vita. Naturalmente intimo. Familiare.

Ecco.

Con Totò è come se tutti avessimo perso un parente.

Crudele è stato il destino nel togliergli il tempo con sua moglie Barbara, persona di grazia che gli è stata accanto con forza. Ma anche così, giusta è stata la vita nel dargli durante il suo percorso il riconoscimento che la sua bella persona meritava.

E nel suo ultimo viaggio di chi in vita non ha lasciato la sua terra, lo abbiamo accompagnato tutti noi che alla nostra terra sempre torniamo, per grandi gioie o per il Grande Dolore che alla fine ci aspetta.

Ci vediamo Totò, fai buon viaggio.

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