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Editoriale Calcio

Thiago Motta, ci sono già i “pentiti”. Le briciole per Rabiot. Orrore Pairetto

Fateci caso: Simone Inzaghi quattro partite otto punti, ci può stare, il turnover non era sbagliato, giusta la rotazione, con la nuova Champions non si scherza e la reazione nel finale è stata da grande squadra pur di non perdere la partita. Thiago Motta stesse partite (quattro) e stessi punti (otto), ma con una netta differenza di pensiero rispetto al suo collega dell’Inter. In sintesi, lui colpevole, Simone in gran parte innocente. Lui colpevole pur avendo una squadra fresca di nomina, l’altro quasi assolto pur avendo una squadra in gran parte confermata – e quindi collaudata – rispetto a quella che ha conquistato la memorabile Seconda Stella. Questo per dire come funziona oggi nel mondo mediatico italiano, figli e figliastri in base a simpatie o antipatie. Thiago Motta si prepari perché sarà anticipatissimo pur essendo una persona corretta e tutta di un pezzo. Adesso che ha stracciato il PSV nell’esordio in Champions vedrete che scenderanno in campo i pentiti, l’assurdo è che qui si ragiona in base a un risultato. Motta paga semplicemente il fatto di essere l’erede di Max Allegri, l’artefice di tre anni orribili, tra i più orribili nella storia della Juventus, costati la bellezza di poco meno di 50 milioni lordi (il riferimento è all’ingaggio, bisognerebbe aggiungere il resto). Hanno aspettato lui fino alla fine (è il caso di dirlo) celebrando la Coppa Italia che vale quanto il due di denari quando regna bastoni. E dopo quattro giornate tirano fuori tabelle con paragoni da dilettanti allo sbaraglio, quando il mondo sa che ci vorrebbe un minimo di pazienza, facciamo un paio di mesi, per avere qualche riscontro attendibile. Ho detto due mesi non 36, neanche 24 e nemmeno 10, gli stessi che hanno concesso al più bravo di tutti, peccato che nessuno gli abbia fatto almeno un fischio dopo i famosi e inenarrabili tre anni sulla panchina più d’Italia. Poi ci chiedono per quale motivo il giornalismo sportivo sia morto una dozzina d’anni fa e per ulteriori riscontri basterebbe controllare i dati di ogni fine mese in edicola.

Adrien Rabiot ha trovato casa a Marsiglia. Dopo settimane e settimane di proclami, dopo aver sognato la Premier, dopo aver rifiutato (per fortuna della Juve) una proposta da otto milioni a stagione per assenza di commissioni adeguata, il parcheggio in Ligue1 è un totale ridimensionamento. Con tutto il rispetto che si deve all’OM, alle ambizioni di De Zerbi che cattura un centrocampista di spessore, annessi e connessi i ragionamenti che vanno fatti su una storia triste. Perché triste? Perché il superego, misto a spocchia, di Rabiot ha mandato in frantumi le aspirazioni di due o tre mesi fa quando pensava – a torto – che il mondo calcistico sarebbe crollato ai suoi piedi. E che ci sarebbero state offerte su offerte, tutti con la cassaforte piena per soddisfare le sue richieste e quella della mamma-agente Veronique. L’ingaggio che Rabiot percepirà a Marsiglia sarà inferiore agli otto milioni a stagione che pensava, immaginava o rifiutava, ci sarà stato un congruo assegno alla firma ma sono quisquiglie rispetto alle ambizioni e alle aspettative. Il contratto è biennale, quindi sarà prevedibilmente il penultimo davvero importante in carriera. In bocca al lupo Adrien, ma la prossima volta controlliamo meglio la strategia con chili di presupponenza in meno e quintali – meglio tonnellate – di realismo in più.

Poche righe sulla vicenda arbitrale. Ci prepariamo, purtroppo, a un’altra stagione piena di errori per incapacità di una parte dei protagonisti. L’errore di Luca Pairetto durante Monza-Inter, fermare il gioco ignorando la regola del vantaggio, è la sintesi della sua incapacità di tenere una partita. Stiamo alla larga da chi pensa che il ragionamento di una buona direzione arbitrale nasca e muoia in base a una fede calcistica: i tifosi facciano i tifosi e si regolino come vogliono, qui è un discorso di competitività e di adeguatezza. Pairetto è stato lo stesso che ha convalidato un gol di Acerbi in clamoroso fuorigioco durante uno Spezia-Lazio, ma se andaste a controllare trovereste una lunga serie di impossibili strafalcioni. Andrebbe fermato, anzi avrebbero già dovuto fermarlo. Lui come qualche altro collega non all’altezza, Di Bello in cima alla lista. Rocchi lo ha fatto andare avanti, questi sono i risultati. Il senso di un cambiamento significherebbe premiare la meritocrazia, ma è una lingua che da queste parti non sappiamo o non vogliamo parlare.

Redazione Sportitalia

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