Per giocare in una squadra di Thiago Motta servono le gambe per correre e i piedi per rifinire con qualità. Ma serve soprattutto la testa: se non hai quella, sei fuori. È per questo il calcio di Thiago è per molti, non per tutti. L’età o la provenienza non hanno alcun valore: se ti alleni bene e sei funzionale alla partita, giochi; sennò stai fuori e aspetti il tuo momento tenendo alta la concentrazione. La vision s’intreccia con la mission e non c’è tempo per badare ai contorni più soliti e tradizionali: la Juve raramente fa ritiro pre gara, eppure corre lo stesso. A Empoli, con la partita alle 18, la squadra è partita al mattino stesso: Motta vuole giocatori motivati e autonomi, non da controllare a vista. Neanche col PSV dovrebbe portare i suoi in ritiro: colazione tutti insieme nel match day, poi allenamento come ogni giorno.
Il segreto del tecnico italo-brasiliano sta nella fiducia che sta concedendo ai suoi giocatori: la Juve che tornerà in Europa, in quella Champions che in altri tempi ha vissuto con ossessione negativa, è una squadra che all’apparenza non ha obiettivi stagionali; ma che, dovendo pensare di partita in partita, tiene il punto sulla migliore prestazione in ogni circostanza. Il calendario è fitto? Thiago Motta parla di entusiasmo per dribblare il problema e filtrare la palla in zona luce: è chiaro che il mercato del club gli ha dato una grande mano nel poter disporre di molte soluzioni. Serve solo del tempo per consolidare alcune certezze e attecchire su meccanismi di gioco: la pausa per le nazionali è tornata utile per lavorare su molti concetti, anche se obiettivamente si è visto abbastanza poco nel match di Empoli.
I segnali di cosa può essere la Juve quest’anno sono arrivati a metà del secondo tempo del Castellani: quattro giocatori importanti fuori, altri quattro (con qualche giovane che nel frattempo si è guadagnato la fiducia del tecnico) dentro. Non è bastato per vincere il match ma i segnali a chi deve fare le analisi sul tempo avuto a disposizione per rivoluzionare la Juve (e assestare la rivoluzione stessa) sono arrivati tutti. Sulla costruzione e sulla velocità nel trovare la soluzione migliore della giocata la Juve deve crescere, ma dietro è solida e dopo quattro partite non ha quasi mai rischiato nulla: zero gol subiti pur avendo ruotato molto sulla linea dei difensori e anche in porta. La formazione di Motta difende di squadra e in quella zona di campo ha già dato segnali confortanti. Il resto arriverà col tempo.
Tra qualche giorno la Champions League. Ben distante dal campionato e dalle sue dinamiche. L’obiettivo resta immutato: oggi il primo pensiero di tutti dev’essere il percorso, che è appena cominciato e non ha limiti. Ecco, la differenza tra il voler essere e il poter essere – almeno oggi – sta tutta nella consapevolezza di poter contare sulla squadra. Che non è solo fatta dai giocatori ma anche da tutti gli altri: allenatore, staff, dirigenza. Sarri qualche giorno fa ha parlato di come la Juve ai suoi tempi non fosse pronta al cambiamento: in effetti, in quella Juve c’erano molti che avevano vinto per tanti anni e dunque con certezze da sovrapporre alle prime difficoltà. Nella Juve che si è affidata Motta, invece, sono tutti pronti a seguire l’allenatore per far parte di questo cambiamento. Non è affatto banale.