La rivelazione del giocatore NBA ha lasciato tutti senza parole: la dipendenza dal Fentanyl poteva costargli carissima
Negli Stati Uniti la discussione sull’utilizzo del Fentanyl è sempre più accesa. Una recente indagine ha fatto emergere che l’utilizzo sconsiderato di questo oppioide interamente sintetico, nato come cura per malati oncologici e 80 volte più potente della morfina, ha causato la morte di migliaia di persone negli ultimi anni.
Uno scenario davvero inquietante che pare coinvolgere anche il mondo dello sport, in particolare dell’NBA. Ha lasciato tutti senza parole il racconto di Willie Cauley-Stein, cestista che nel corso della sua carriera ha indossato le canotte di Kings, Warriors, Mavericks e Sixers. Cauley-Stein fu la scelta numero 6 al Draft NBA 2015 e tutto lasciava pensare che fosse ormai indirizzato verso un’importante carriera.
Purtroppo le cose sono andate in maniera diversa anche a causa della sua dipendenza dalle pillole, in particolare quelle contraffatte di Percocet, un farmaco che contiene Fentanyl. “Potevo facilmente morire“, racconta l’atleta americano, che ha giocato la sua ultima stagione in NBA nel 2021-2022 con una media di 1,7 punti e 2 rimbalzi in 20 partite.
I suoi problemi sono cominciati nel 2019 e sono peggiorati nel 2021, anno in cui è venuta a mancare sua nonna. Cauley-Stein si è rivolto anche a una clinica per disintossicarsi. “Ho chiesto aiuto prima che fosse troppo tardi ed è andata bene, ma il basket è stato molto più difficile da recuperare“, ha detto il 31enne al sito The Athletic.
“Sento continuamente storie di persone che vanno a una festa e decidono di prendere una pillola di Percocet e muoiono senza aver mai preso nulla prima – aggiunge Cauley-Stein – Ne ho prese centinaia per mesi, avrei potuto essere io“. Nella stessa intervista, l’ex giocatore di Warriors e Sixers spiega che nel 2019 ha cominciato a prendere queste pillole perché non riusciva a gestire gli impegni in campo e quelli nella vita privata (sua moglie era incinta, ndr).
La morte di sua nonna ha fatto precipitare la situazione. Sei giorni dopo è entrato in una clinica di disintossicazione: “Il team si rese conto che non avevo energia, né amore, né personalità, niente. La droga mi ha portato via tutto“. Grazie anche al suo agente Cauley-Stein si è poi iscritto al programma antidroga della NBA. Quando ha raccontato tutto si è sentito sollevato: “Non mi sono mai sentito così bene“.
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