Anche con gli Us Open ormai alle porte, tiene banco il caso di doping involontario che ha coinvolto il campione azzurro Jannik Sinner: il precedente
Quella che sarebbe dovuta essere una delle settimane più tranquille del circuito ATP, col solo torneo ATP 250 di Winston Salem in programma, quella che precede la full immersion nelle due settimane di fuoco degli US Open, si è trasformata quest’anno in una delle più chiacchierate, tese e polemiche di sempre.
Il motivo è presto spiegato. Lui, Jannik Sinner, numero uno del mondo da 10 settimane e già certo di esserlo per altre 7, è stato riscontrato positivo ad un controllo antidoping effettuato nello scorso marzo. Tutta colpa della sostanza proibita chiamata Clostebol. Il cui principio attivo è stato riscontrato in quantità davvero infinitesimali – meno di un miliardesimo di grammo – nelle urine del tennista.
Il silenzioso processo messo in atto da mesi e conclusosi il giorno 20 agosto con la sentenza di ‘assunzione inconsapevole‘ – e quindi di doping involontario – ha chiuso una pagina che avrebbe potuto essere molto pericolosa per il campione altoatesino. Sinner in teoria ha rischiato una lunga squalifica, con indicibili ripercussioni sulla classifica. Nonché sul futuro rendimento e soprattutto sulla sua immagine. Le prove prodotte dal tennista e dal suo pool di avvocati hanno dimostrato con certezza che la trasmissione del Clostebol sia avvenuta per mezzo del Trofodermin, una pomata cicatrizzante usata dal fisioterapista di Jannik per curare una ferita al mignolo della mano sinistra.
Massaggiando il campione per lenire le sofferenze di alcuni fastidi fisici, residui dell’unguento sono penetrati in una lesione presente nel corpo dell’allora ancora 22enne. Facendo rilevare tracce del proibito Clostebol. Sinner è dunque stato considerato a tutti gli effetti innocente. Con la ‘sola’ conseguenza della perdita dei 400 punti ATP e dei 300mila euro conquistati nel torneo incriminato di Indian Wells.
In questi giorni è venuta alla luce una situazione analoga. Con la stessa sostanza rilevata dall’ITIA, che ha colpito un doppista italiano poco conosciuto al grande pubblico. Trattasi del 33enne Marco Bortolotti, numero 87 del ranking di doppio, che nello scorso febbraio ha chiuso una vicenda iniziata a novembre dopo il test positivo riscontrato nel torneo di Lisbona.
Anche Bortolotti, come poi Sinner, non è stato sospeso dall’ATP. E nemmeno squalificato. La tensione e la preoccupazione per una situazione che avrebbe potuto compromettere il suo finale di carriera sono state ben spiegate dal diretto interessato. Che ha concesso un’intervista a ‘La Gazzetta dello Sport’.
“Non mi ha chiesto niente nessuno e sono uscite anche notizie senza chiedermi nulla. Hanno semplicemente riportato quello che c’era scritto nella sentenza dell’ITIA. Scrivendo anche cose errate, come il fatto che la mia causa fosse durata una settimana. Quando io invece ho ricevuto la notizia a novembre e il caso si è chiuso a febbraio. Sono stati mesi di agonia“, ha esordito il tennista.
“Se parliamo di vero e proprio doping questa è una stupidata”. Bortolotti ha ammesso di essersi informato anche con amico del settore che gli ha detto ‘guarda se tu ti dopi con il Clostebol sei un imbecille‘. Perché non è doping”.
Fa parte della famiglia degli steroidi ma non è un vero e proprio steroide ha assicurato Bortolotti scagionando ulteriormente Sinner da una situazione particolarmente incresciosa.
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