Se lo sport, inteso nella sua essenza più pura, è l’Olimpiade di Parigi, allora non vediamo l’ora di rituffarci nel calcio con tutti i suoi limiti e i suoi difetti. Il mondo è diventato ostaggio del politicamente corretto e di quello scorretto allo stesso tempo inondando di liquami e di veleni (come la Senna) qualsiasi argomento che si è costretti ad affrontare. La cerimonia di apertura è stata un vero scempio utilizzata solo per mostrare a tutti la megalomania francese. Non era il caso di far entrare tanta desolazione intellettuale nelle nostre case. La conquista dei diritti civili è una materia intoccabile e sacrosanta, ma non appariva necessario sovrapporla ad altro creando una conflittualità decisamente evitabile in questo periodo. Malagò che critica gli arbitri di pugilato e judo si allinea alla normalità del tifo calcistico ingiustamente e troppo spesso citato come modello negativo. In fondo, piangere per eventuali torti subiti accomuna tutti perché è la miglior medicina per anestetizzare le delusioni. Fa nulla se poi resta sul terreno la sgradevole sensazione di uno scadente provincialismo da palazzinari. Questo siamo. Come nella truce polemica sull’incontro di pugilato fra Khelif e Carini. Disgustosa la strumentalizzazione politica che ha completamente polverizzato il punto della questione che è il seguente: un trans o un intersex non possono competere con una donna. Si tratta di semplice lealtà sportiva perché quando discutiamo di cromosomi o di testosterone non siamo più nelle normali differenze esistenti fra gli esseri umani. Ovvio che l’atleta algerina non abbia nessuna colpa così come altrettanto vero che la pugile campana sia stata condizionata dalla disparità del confronto. Senza queste basi di comprensione è inutile trasformare tutto in rissa da bar. Che ognuno dica la sua e amen con buona pace per lo sport che evidentemente non interessa minimamente.
Vale di più la cretinata della Di Francisca dell’impresa di Ceccon. Questa non è più l’Olimpiade in cui diventiamo tutti nuotatori, schermidori o velocisti. Siamo nell’era della distruzione totale. Ci interessa più demolire il pensiero altrui che sentirci accomunati da un orgoglio nazionale sempre più svilito nel nome della discussione fine a se stessa. Parliamo per parlare senza un minimo di prudenza o di pudore. Si dirà: è colpa dei social. No, purtroppo è colpa dell’ignoranza e della presunzione di una società viziata e volubile.
Adesso, per favore, ridateci il calcio. Almeno i confini sono chiari e non c’è pericolo di perdersi in confronti senza senso. C’è il Var, ci sono gli arbitri, c’è Gravina, ci sono i presidenti, gli allenatori, i giocatori. Ogni cosa al suo posto. Che la parola emerga dalla Senna e si tuffi in acque nostrane. Saranno più pulite e ci permetteranno di sapere di che cosa parlare.
Paolo De Paola