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Editoriale Calcio

L’errore di Giuntoli, lo sbaglio del Milan, la paura di De Laurentiis, l’idea geniale che ha aperto le Olimpiadi

Due errori, un grande timore, e una genialata che cambia la storia dello sport, in ordine sparso per raccontarvi retroscena di mercato e chiudere con l’opera d’arte sportiva a cui abbiamo assistito a Parigi.

Il primo è l’errore di calcolo di Giuntoli: la notizia di Calafiori all’Arsenal non è né una novità né una sorpresa, già assodata da un mese. Ma l’errore di Giuntoli è pregresso: la Juventus credeva davvero di essersi assicurata il difensore, lo ha trattato per mesi su precisa richiesta di Thiago Motta, era ancora primavera quando aveva trovato l’accordo con il giocatore e con questo pensava di prendere per il collo il Bologna. La Juve non voleva spendere più di 30 milioni ed è andata a trattare col Bologna troppo tardi e in maniera sbagliata; il Bologna pretendeva molto di più, e senza l’Arsenal non sarebbe riuscito a ottenerlo probabilmente, ma sta di fatto che Giuntoli voleva ricavare 35 da Soulé e 25 da Huijsen, e invece dovrà accontentarsi dei valori di mercato rispettivamente di 28 e 15 (prezzi onesti), ma su Calafiori ha giocato al ribasso, troppo, e ha finito per buttare mesi di tempo di lavoro.

Poi c’è lo sbaglio del Mllan. Allora: non riuscire a prendere dei giocatori perché costano troppo fa parte del mercato. Altra cosa è andare sistematicamente a trattare giocatori che sai che hanno quel prezzo, su cui spendi un mare di tempo, e finire sistematicamente con le terga per terra perché ti impunti sul credere che certe clausole imprescindibili verranno meno. Per fare due esempi, è successo con Taremi, è successo con Zirkzee (nota: in quel caso Joorabchian non era avido, ma i 15 milioni di commissioni erano la conditio sine qua non grazie al quale fu possibile stabilire una clausola a 40, e dunque totalmente insensato pensare di ridimensionarli), ed è successo di nuovo con Fofana. Nessun rialzo improvviso del Monaco dalla sera alla mattina: nel calcio di alto livello non funziona così. Semplicemente, il Milan ha provato a prendere un nazionale francese in scadenza a 15 milioni. Ha trovato l’accordo con il giocatore, ma ancora una volta non aveva fatto i conti con il club. Ha fatto un’offerta senza avere feedback positivo conseguente, ha continuato a reiterare la stessa offerta finché ha avuto campo libero, fino a quando il Monaco che non aveva mai detto nessun prezzo ma che non aveva accettato quel tipo di valutazione, ha infine aperto contatti seri con Manchester United e Atletico. Tempo sprecato di nuovo, nonché buttato il vantaggio rispetto alle altre, ancora una volta concedendo alle competitor la possibilità di rientrare per propria insipienza nel non fare un rialzo ragionevole ma deciso.

C’è poi il timore di De Laurentiis di tenersi Osimhen, con la testa altrove e però con 10 milioni sul proprio conto da ricevere dal Napoli ogni anno. Perché al PSG da quando c’è Luis Campos non si scialacqua più: o meglio, lo si fa ancora ma non con i grandi club tantomeno italiani, per puro puntiglio di dimostrare di essere diversi dal PSG di Leonardo, e per politica di facciata di Campos di fare finta di spendere in maniera ragionata. Così salto l’acquisto di Skriniar, per una differenza di soli 10 milioni. Ed è vero che fu preso l’anno dopo a zero, ma nella stagione precedente il PSG avrebbe avuto già tremendamente bisogno di quel Skriniar, una leggerezza che forse costò la Champions. Il PSG non ci pensa proprio a pagare la clausola da 130 milioni di Osimhen, e lo si può anche capire. Lo stesso De Laurentiis si è intimamente convito ad accettare anche 115 più bonus, ll problema è che il nigeriano al momento valga 100 milioni, ma ancora peggio il PSG pensi di fare il virtuoso di facciata, e dunque al momento rifiuti di avvicinarsi a 100, avendo offerto solo 80, sdegnosamente respinti dal presidente del Napoli. Più passa il tempo più il prezzo rischia di abbassarsi, e adesso davvero si teme paradossalmente che Osimeh rimanga.

E infine l’idea geniale che ha aperto le Olimpiadi. In molti sono critici perché la cerimonia inaugurale non si è tenuta come sempre nello stadio, e perché è stata una esaltazione di Parigi e non dello sport. Sicuramente qualche sbavatura c’è stata, e come potrebbe non esserlo nella cerimonia più complicata di sempre dal punto di vista organizzativo, ma l’intuizione è stata assolutamente geniale, e anzi per la prima volta totalmente rispondente allo spirito delle Olimpiadi.

Infatti delimitare una cerimonia d’apertura nello stadio fa sì che tutto il resto della città e della popolazione e dei tifosi sia materialmente esclusa dall’evento, se non assistendo dagli schermi. Stadi in plessi olimpici quasi sempre lontanissimi dalla città, come avvenuto sistematicamente da Atene in poi. Stavolta invece è stata la città stessa a essere palcoscenico, come dovrebbe sempre essere visto che i Giochi si identificano completamente con la sede ospitante e non col singolo impianto sportivo. E ancora di più stavolta ci sono stati circa 150mila spettatori di forma gratuita oltre ai 100mila paganti, che hanno potuto in presa diretta godere di un evento nei cieli che non si era mai visto. Infine, completamente risibile la critica su “non si è parlato di sport”, e persino non rispondente al vero: per il semplice fatto che nelle cerimonie di apertura non si parla MAI di Olimpiadi! Da sempre l’apertura è una celebrazione della storia e della cultura della città e della nazione ospitante, a ogni latitudine, da quelle orientali di Seul, Pechino e Tokyo, a quelle europee di Barcellona, Atene e Londra, a quelle di Atlanta, Sydney e Rio. L’attenzione ai Giochi in sé è arrivata sempre sul finale dopo uno show etnografico, né più né meno. La differenza è che stavolta lo show è stato il più grande di sempre, senza sagome ma con i monumenti stessi, utilizzando terra, aria e acqua.

E’ stata l’idea più geniale e ambiziosa mai vista in una cerimonia sportiva, che per la prima volta ha davvero coinvolto l’ambiente cittadino circostante.

Tancredi Palmeri

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