Se prima dell’Europeo ci si domandava quali fossero le reali ambizioni e i reali limiti di questa Italia, la gara con la Spagna ha fornito una risposta cruda, quasi violenta, una lezione esemplare. Non tutto è perduto, anzi, dopo una partita come quella di Gelsenkirchen, con un elenco di spunti mastodontico su cui lavorare, si possono solo fare dei passi avanti. Il format della competizione ci consente di arrivare alla gara con la Croazia senza l’apprensione di dover necessariamente vincere. E dato l’oceano di riflessioni in cui dovrà navigare Spalletti in questi giorni, è un elemento da non sottovalutare.
La Spagna in 90 minuti ci ha elencato esattamente il nostro spettro di debolezze: dalla blanda intensità in riaggressione alla debole organizzazione difensiva sulle transizioni veloci. Dalla lentezza nelle letture all’improvvisazione quasi totale in costruzione, non per mancanza di idee, ma di tempo, di spazi, di lucidità. Anche per grande merito della Spagna, ovviamente.
La vera preoccupazione nasce da quello che a Gelsenkirchen è risultato evidente, confermato cupamente dalle parole di Spalletti. Ovvero, l’impossibilità di fare scelte. In campo e, verrebbe da dire per estensione, anche in panchina. Le alternative sono poche e non convincono, come molti dei cambi tra Albania e Spagna hanno sottolineato.
Il tempo per rivoluzionare impronta non c’è, schiacciato dalla necessità di preparare la gara con la Croazia. Decisiva per noi quanto per loro, che finora hanno raccolto appena 1 punto. Il lavoro di Spalletti in questi mesi però ci ha insegnato ad avere fiducia, ad allenare l’entusiasmo. Oggi vanno sicuramente ritrovati, ma la scossa prodotta e la lezione impartita dalla Spagna a questa Italia è un incentivo a crescere e a migliorare. Con la Croazia capiremo se i tempi per farlo sono già maturi.