Bielsa, un Loco por la Celeste

Vincere con la Celeste per dissipare una volta per tutte l’alone di misticismo che da sempre accompagna Marcelo Bielsa. In 40 anni di panchina è diventato più personaggio che persona, plasmato da una narrazione mediatica appesantita spesso da diluvi di retorica che ne hanno oscurato il lato più umano e, soprattutto, quello sportivo. Perché Bielsa non è solo Loco, non è solo una biglia in un flipper dal movimento imprevedibile, come è stato dipinto pur con qualche pennellata di realtà. Il calcio ci insegna costantemente che giudicare un allenatore dal palmares è un esercizio pigro e superficiale. Un esercizio che non dà un grande apporto al dibattito sportivo. Concentrarsi su ciò che ha vinto Bielsa (poco) e sugli aneddoti che ha regalato negli anni (tanti), significa ignorare l’eredità che ha lasciato con benevolenza.

Più che un figlio vincente di un calcio lontano, è stato un padre illuminante del calcio di oggi. Più bravo a tracciare il solco, piuttosto che a seguirlo. La sua prole è ovunque, in Europa e in Sudamerica, e non dimentica chi gli ha tolto le rotelle dalla bicicletta. Guardiola – su tutti – né l’esempio più chiaro. Ancora, il Cile strepitoso di Sampaoli che ha conquistato la Copa nel 2015 e nel 2016, non può che essere stato un lascito generazionale. Bielsa ha avuto tanti volti, da quello cupo e malinconico con l’Argentina nel 2002 a quello gonfio di allegria dopo la medaglia olimpica nel 2004 sempre con l’Albiceleste o dopo la promozione con il Leeds nel 2020. Loco y ganador. Oggi con l’Uruguay che è riuscito a tenere alto il livello post golden generation vuole tornare illuminare una nazione, vendicando quel maledetto secondo posto in Perù di vent’anni fa che ancora oggi disturba il sonno del Loco.

 

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