“Cultura dell’esempio e del lavoro, rispetto, senso di apparenza, responsabilità e spirito di sacrifico: bisogna dare l’esempio. Mostravo ai miei compagni di squadra con i fatti il cammino da seguire, e loro mi seguivano perché ragionavo per il bene comune. Oggi faccio lo stesso con i colleghi in altre vesti”. Parola di Javier Zanetti, bandiera dell’Inter, ora vicepresidente del club, intervistato in occasione del Festival del Lavoro a Firenze da Rosario De Luca, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro. “Quando l’Inter mi ha chiese di diventare il vicepresidente ero molto felice, ma mi resi conto della grande responsabilità – ammette l’argentino classe ’73 -. Si stava chiudendo un percorso calcistico lungo 25 anni e ne stava iniziando un altro da zero e mi sono dovuto preparare”.
Dagli allenamenti ai libri, dalle riunioni tattiche alle call: “Bisogna adeguarsi, capire il momento. La tecnologia sta avanzando velocemente e bisogna adattarsi mettendo a disposizione il proprio talento con la cultura del lavoro”. Senza mai improvvisare nulla: “Studiare è fondamentale come lo è imparare delle persone che hanno più esperienza”.
Arrivato a Milano nel 1995 dal Banfield, ha collezionato fino al 2014, anno del suo ritiro, ben 858 presenze con l’Inter, vincendo cinque scudetti, quattro Coppe Italia, quattro Supercoppe Italiane, una Champions League, un Mondiale per club e una Coppa Uefa. Appesi gli scarpini al chiodo ha preferito la scrivania alla panchina: “Tanti ex calciatori fanno gli allenatori, mentre io volevo fare il manager – spiega Zanetti – con una visione più ampia, a 360 gradi e sapevo che mi sarei dovuto preparare, avrei dovuto studiare. Ho iniziato percorso di formazione la Bocconi dove continuo a studiare e sto imparando tanto. Mi sento utile per il mio club in diverse aree che prima neanche conoscevo”.
In Argentina, da bambino, dalle 4 alle 8 di mattina consegnava il latte, poi si andava allenare: “Il mio sogno – svela Pupi – è nato in un quartiere di periferia. Ogni volta che ho sollevato un trofeo mi sono ricordato del percorso fatto per arrivare fin lì. Bisogna stare con i piedi per terra e avere umiltà. Senza sacrificio non si ottiene nulla”. Parole da leader carismatico, ma corretto e leale: in 19 anni di partite Italia l’argentino è stato espulso solo una volta in A. Un record niente male. “La correttezza viene prima di tutto, insieme al rispetto per gli avversari e ai colleghi portando sempre con me i valori trasmessi dai miei genitori. Essere riconosciuto ancora oggi per questi valori è motivo di grande orgoglio”.