Carlo Nicolini è l’immagine dell’Italia che vince con le idee e la competenza, anche all’estero. Ed anche in condizioni estreme, senza mai sconfessare un progetto ed il proprio modo di fare le cose.
All’interno dello Shakthar Donetsk, Nicolini ha ricoperto inizialmente la posizione di preparatore atletico, per poi lavorare come direttore sportivo al fianco di Dario Srna: in esclusiva per SPORTITALIA ha raccontato in lungo ed in largo la vittoria del campionato ufficializzata dall’1 a 0 rifilata alla Dinamo Kiev sabato.
Un successo arrivato nonostante lo scoppio della guerra in Ucraina abbia creato non poche difficoltà alla società. A livello logistico innanzitutto: ore ed ore di viaggio per andare a giocare le partite, anche in casa (in Champions è stato usato lo stadio di Amburgo, in Germania). Poi a livello di mercato: pensate all’idea di dover convincere un talento sudamericano che sogna l’Europa a scegliere di giocare proprio lì, dove legge notizie quotidiane di bombardamenti. Come dicevamo però senza nessuna scorciatoia dato il momento e gli inconvenienti del caso. In Italia non sappiamo bene cosa significhi effettivamente fare calcio durante una guerra. Ce lo ha spiegato bene Nicolini.
Come ha vissuto queste ore successive al trionfo?
“Con tanta felicità ed orgoglio. E’ il mio dodicesimo campionato vinto qui in Ucraina, ma questo e quello dell’anno scorso sono i titoli che mi hanno dato più soddisfazione soprattutto viste le condizioni impossibili nelle quali sono stati ottenuti. Un altro risultato clamoroso per questo club che conferma ancora di lavorare benissimo a livello di scouting, tecnico e motivazionale”.
Parliamo di queste “condizioni impossibili”? Perché qui in Italia probabilmente non ci rendiamo bene conto di cosa parli, nella quotidianità del lavoro, fare calcio durante una guerra.
“Lo Shakhtar non gioca una partita in casa da 10 anni, dal 2014. In questi ultimi 2 ci siamo allenati fra Kiev e Leopoli, minimo 700 km di distanza da percorrere, con almeno 8 ore di macchina da percorrere nel traffico ogni volta. Le partite europee in casa siamo andati a giocarle in Polonia o ad Amburgo, in Germania: altre trasferte di 14-15 ore. In Italia sento allenatori che lamentano di aver giocato un’ora prima o dopo, immaginate voi fare così da anni giocando ogni 3 giorni, dato che nelle coppe andiamo spesso fino in fondo”.
Come nel caso della finale di Coppa d’Ucraina da giocare mercoledì contro il Vorskla, che può portare un altro titolo.
“Sì, che sarebbe ancora più straordinario. Non parliamo solo dell’allenamento, ma anche del recupero. Giochi ed il giorno dopo non puoi dare il riposo o il defaticante: 9 volte su 10 devi viaggiare poi non c’è solo l’organizzazione…”.
Che altro?
“I costi. Per ogni partita in casa bisogna comunque mettere in conto quello dell’hotel, degli spostamenti e via dicendo. Un dispendio per il club ed una fatica incredibile per staff e ragazzi. Queste sono solo alcune delle difficoltà, oltre chiaramente ad un aspetto nel quale non entro troppo, che è quello psicologico”.
Per la guerra.
“Certamente: lì ognuno giustamente vive il momento, che dura da due anni, a modo suo, fra preoccupazioni e paure. Ogni giorno arrivano novità. Questo rende l’idea di che impresa stia facendo lo Shakhtar per continuare a costruire e vincere”.
Stupisce che lo continui a fare a modo suo, più che altro: 12 nuovi arrivi quest’anno, dei quali 5 brasiliani…
“Una squadra praticamente nuova, vendendo e poi innestando e tanti giovani, che ha vinto esprimendo un ottimo calcio. Ecco perché va reso giusto merito a staff tecnico e giocatori, oltre che al club. E’ un campionato che va a gratificare ogni componente societaria”.
Anche la scelta di Marino Pusic in panchina non era scontata: avete cercato un profilo adatto alla filosofia del club?
“Certamente. Abbiamo questo tipo di filosofia, iniziata con Lucescu ed il Presidente, che hanno puntato sul mercato brasiliano e su una proposta di gioco precisa: questo alla lunga paga se lavori bene. Dopo Lucescu infatti sono arrivati allenatori portoghesi come Fonseca e poi tecnici in linea con il nostro modo di intendere il calcio, come De Zerbi”.
E ora Pusic.
“Una scelta studiata ed analizzata, il ds Srna lo conosceva, aveva fatto bene in Olanda e pensavamo che quel tipo di filosofia la potesse riproporre qui. I risultati ci hanno dato ragione. Nonostante le difficoltà vengono fatte scelte con programmazione e lungimiranza. Abbiamo costruito una grande rosa che abbiamo messo a disposizione del tecnico, che è stato bravo a farla rendere”.
Come il centrocampista Marlon Gomes? Ventenne arrivato a gennaio che ha esordito a marzo: in una partita ha fatto addirittura tripletta.
“Lui e Kevin sono arrivati a gennaio facendo benissimo, hanno ancora un grossissimo margine di crescita, ma già ci hanno dato ragione. E non è facile andare a convincere i giocatori a venire allo Shakhtar in questo momento…”.
Su cosa puntate?
“Gli facciamo capire che qui c’è un progetto dove si può fare calcio e dove loro hanno la possibilità di mettere in mostra le loro qualità. Per poi spiccare il volo verso il calcio occidentale”.
Eguinaldo, Newerton e Perdinho sono altri brasiliani in rampa di lancio.
“Eguinaldo e Newerton erano semi-sconosciuti in un certo senso, perché avevano fatto poche partite in Brasile. La bravura nostra è quella di aver visto quello che lasciavano intravedere, ma soprattutto di averci creduto e puntato con convinzione. Pedrinho è un difensore sinistro che ha ottime qualità fisiche e tecniche”.
Poi c’è il lavoro sugli ucraini. Bondarenko colpisce molto per alcune giocate…
“Secondo me è il giocatore ucraino più forte in prospettiva, spero e penso che arriverà presto in Nazionale. E’ fortissimo, ha fisicità, corre tanto, è veloce. Ha una visione di gioco che in pochissimi hanno. Anticipa tutto, pulisce tutti i palloni, arriva al gol e fa tanti assist. E’ completo ed è un piacere vederlo giocare ed allenarsi. Uno dei fiori all’occhiello, il mio pupillo”.
Chi altro?
“Il portiere Riznyk: non era facile sostituire un fenomeno come Trubin, lui ha fatto una grande stagione, di grande affidabilità a 25 anni. I difensori Konoplya, Bondar e Matvienko hanno garantito una costanza rara, sono tutti nazionali. A sinistra Pedrinho e Azarovi hanno mostrato qualità. Un altra vittoria è aver messo Kryskiv in mediana: Stephanenko ha dato tanto, ma aveva i suoi anni, bisognava trovare un sostituto e lo abbiamo fatto in casa, arretrando lui. Con Bondarenko e Sudakov forma una mediana fenomenale”.
Davanti ci sono i brasiliani.
“Sì, ma anche Sikan che ha fatto i suoi dieci gol, segnando anche in Champions 4 reti. Oltre ai gol fa anche lavoro fisico, in attesa che torni Traorè, che è fenomeno, ma purtroppo l’infortunio lo ha tenuto lontano dai campi. Qualità ce n’è tanta”.
Parlando di Sudakov: pensa che in Italia, parlando di lui, si dia troppo per scontato che la scelta di prenderlo dipenda soltanto dai nostri club?
“L’ho sempre detto: le squadre italiane arrivano a visionare i giocatori di talento per tempo, perché hanno dei grandi professionisti. Poi però manca sempre il coraggio nell’affondare il colpo, nell’essere convinti di ciò che hanno visto. Ci vuole sempre la conferma della conferma. Il problema è che quando si arriva ad avere così tante conferme significa che il giocatore è ormai affermato e poi arrivano le squadre che a livello economico hanno più possibilità dell’Italia”.
C’è forse diffidenza nell’investire su talenti che arrivano da campionati considerati minori, finché non esplodono davvero?
“In questi anni tanti giocatori dell’Est hanno fatto vedere di poter incidere nei migliori campionati: Kvaratskhelia al Napoli, Tsyganov e Dovbyk al Girona, per citare gli ultimi. Non capisco questa diffidenza verso i giocatori ucraini, quando a 22-23 anni hanno esperienza in Champions e sono titolari inamovibili con la Nazionale, che di recente ha messo in grossa difficoltà l’Italia. Poi se si aspetta arriva la squadra di Premier a prenderli a prezzi inaccessibili e si sente dire “lo volevamo, ma a quelle cifre non è possibile”. E’ chiaro che sia così, ma se il nome circola da un anno, significa che poteva essere preso prima, a meno. Si preferisce andare sui parametri zero, ma non sempre ti esce fuori il Mkhitaryan di turno, tanto per citare un altro che è passato da noi”.