Sono giorni di celebrazioni, festeggiamenti, pinte, bandiere e colori, lassù, nel Suffolk. Ove spirano freddi venti del Mar del Nord, ove culminano one e correnti scandinave. L’Ipswich Town è tornato in Premier League. Ma stavolta le maree che cullano e sposano la città di Ipswich diventano decisamente più dolci. Già, maree da Premier. Perché 22 anni dopo l’ultima volta i Tractor Boys sono tornati nell’olimpo del calcio britannico. Ciò ha significato la vittoria all’ultima di Championship contro un Huddersfield già retrocesso, per buona pace di un Leeds che sarà costretto a riaccendere le proprie speranze promozione passando dai playoff. D’altronde, dopo una settimana di preparazioni e una città completamente tinta di blue, la spinta era troppo grande: impossibile, tra vento e marea blu, non chiudere col trionfo a Portman Road.
Sir Robson e Novecento
E dopo oltre due decenni di cadetterie proseguono feste folkloristiche: in questi giorni, in queste ore, senza sosta. Non potrebbe esser altrimenti. Tra i tanti valori nel calderone del romanticismo britannico sussiste quanto e come, contea per contea, generazioni crescano i propri figli col culto del club della loro città. Naturalmente anche lassù, a 110 chilometri da Londra. La Premier riabbraccia l’Ipswich Town, uno dei club più ottocenteschi e vittoriani del panorama oltremanica, sorto nel 1878, che col Newcastle abbraccia culto e venerazione di Sir Bobby Robson, con cui visse gli anni più floridi, tra fine settanta e inizio ottanta, tra storica Coppa Uefa ed FA Cup, sebbene il primo e unico titolo britannico firmato Alf Ramsey arrivò ancor prima, direttamente al debutto in First Division, nel lontano 1962. La fine novanta, i primi 2000, una qualificazione Champions sfiorata, ancora esperienze europee come la vittoria sull’Inter di Cooper, firmata Armstrong, nel 2001-22, una stagione che toccò vette continentali rilevanti (parliamo tra l’altro dell’unico club britannico mai sconfitto in casa nelle competizioni europee) ma che sfociò in un’amarissima concomitante retrocessione da cui il club non seppe, per decenni, più riprendersi.
La resurrezione
E per rispettare al meglio la legge di Murphy l’Ipswich nel 18/19 tocca il fondo degli ultimi sessanta anni di storia, retrocedendo addirittura in League One. Crisi societaria, terza divisione, quoziente tecnico ridotto all’osso fino all’avvento di Gamechanger, che con quel nome non poteva far altro che cambiare storia, carte. Ecco ricostruzione e resurrezione, stellare. Doppia promozione back to back: lo scorso anno il ritorno in Championship, quest’anno il capolavoro assoluto, straordinaria capacità di non mollare, inseguire il Leeds e chiudere la volata al secondo posto, alle spalle soltanto della corazzata Leicester di Maresca. L’Ipswich Town è tornato in Premier League.
Olimpo e trionfo
Il condottiero dell’impresa, un back to back dalla League One alla Premier che non accadeva dai tempi dei Saints 2011/12 e che nutre solo quattro precedenti nella storia degli ultimi 30 anni, diventa chiaramente Kieran McKenna, giovane architetto, tra i tecnici emergenti già più reputati d’oltremanica. Chi ha costruito fondamenta, nucleo e gruppo, ormai storico, capace di dilagare anche in Championship, miglior attacco 23/24 grazie ad una valanga realizzativa come 92 gol segnati all’attivo. Pochi colpi, mirati. Idea, spogliatoio e senatori prima di tutto. Dai gol di Chaplin, Broadhead e Hutchinson, all’esperienza di capitan Morsy e Luongo, fino all’entusiasmo di Davis, a colonne come Woolfenden e Clarke. Un cocktail perfetto. Un cocktail da Premier. 22 anni dopo l’ultima volta. Bentornati, Tractor Boys.