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Editoriale Calcio

Inzaghi, Re di Milano: da incapace a leader. Ibra, che fine ha fatto il leone da campo? Sabatini, pensione amara. Un fallimento per tutta Salerno

La grande fortuna di Simone Inzaghi, la stessa di Pippo da calciatore, è stata quella di avere una grande educazione familiare e questo ha consentito ad entrambi di gestire gli insuccessi ma meglio ancora i successi. Dietro alla gloriosa carriera da calciatore di Pippo c’è la cultura del lavoro. Non nacque campione ma lo è diventato sul campo. Simone da calciatore non ha lasciato il segno, se non in 90 minuti con 4 gol, era un attaccante normale la brutta copia del fratello. In panchina, invece, dopo la gavetta ha dimostrato di essere un predestinato e grazie ai valori della famiglia ha saputo gestire gli insulti dello scorso anno e adesso gestisce il trionfo e i complimenti di chi un anno fa lo aveva impalato al muro. Compresi i dirigenti dell’Inter che lo avevano già silurato tramite i giornalisti amici. Simone ha fatto un capolavoro, facendo sembrare normale qualcosa che normale non lo era affatto. L’Inter è imbattibile. L’Inter è la più forte. Certo, grazie al lavoro di Simone che ogni anno fa rendere 100 i parametri 0 e fa passare in secondo piano le continue cessioni. Da Onana a Lukaku, giusto per fare qualche nome. Ti portano via Dzeko e ti regalano due pacchi come Sanchez e Arnautovic. Lui stravince contro tutto e tutti. Se fosse possibile, ma non lo è, come detto lunedì sera su Sportitalia, Simone dovrebbe fare come Spalletti. Andarsene. Il prossimo anno alla prima sconfitta tornerà ad essere incapace, non sa fare i cambi e in Europa è un fallimento. Questo è il calcio. Ieri era da esonero, oggi vai in giro per Milano sul pullman scoperto, domani torni incapace. La verità è che Inzaghi è sempre stato un grande allenatore con una proprietà assente e con dirigenti bravi. Quando le cose non funzionavano, l’anno scorso, misero in discussione Piero Ausilio. Ogni tanto è giusto tornare indietro con google.

L’altra sponda di Milano piange. Gli schiaffi nei derby pesano, la stagione del Milan è altamente fallimentare e l’obiettivo Champions è il minimo che passava il convento. Il caos sul futuro fa più paura del presente. Cardinale è uomo di finanza ma non di calcio. Si vede. Scaroni è uomo di potere e rapporti istituzionali. Non di calcio. Si vede. Ibra e Moncada sono uomini di calcio ma, per ora, comandano meno di Furlani che lo scorso anno ha giustamente allontanato Maldini per alcuni comportamenti non piaciuti ai vertici e ora gli è andata male con Pioli. Era stato confermato grazie al buon finale nelle partite di campionato ma Roma e derby hanno rovinato i piani a Furlani che ora sarà costretto a cambiare allenatore. Il sogno di tutti è Antonio Conte. Al Milan vuole andare e lo farebbe anche a piedi. Per vincere, subito. Ha studiato in questi mesi il Milan e un gancio comune ha proposto l’incontro già tre mesi fa tra Furlani e Conte. Nessuna chiamata per l’allenatore leccese, torinese di adozione. Neanche quando andava a raccogliere i ricci in fondo al mare è mai squillato il telefono. Furlani si prende una grande responsabilità. Prenderà Lopetegui? Se funziona, il Milan sarà suo ma, se per sbaglio, sarà un altro flop Furlani si sarà giocato la carriera a Casa Milan. Di Furlani si apprezza coraggio e sacrificio. Dirigente giovane, capace che però si è intestardito su Conte. Sbagliando. Il ruolo di Maldini era un ostacolo ma l’allenatore vincente fa curriculum anche per un Dirigente. Non a caso Marotta, per lanciare il progetto Inter, si affidò a Conte. Poi puoi farne anche a meno ma la fase di start up è troppo importante. Ibra è il vero dubbio di questa società. In campo era un leone, nello spogliatoio un leader ma se da dirigente non dovesse mettere becco sulla scelta del Mister sarebbe una grande delusione. Accettare tutto per il gusto di fare il dirigente non sarebbe una vita da Zlatan. Ibra vuole Conte ma, a quanto pare, ad oggi non passa la linea svedese.

In chiusura, spazio al secondo verdetto della stagione. Dopo il trionfo dell’Inter, il peggior addio alla serie A per la Salernitana. Un’annata gestita come peggio non si poteva, nata male e finita in disgrazia. Società distrutta, Presidente assente che vuole vendere, calciatori con ingaggi al triplo del reale valore e gestione di allenatori e Direttori imbarazzante. Poco più di 14 mila spettatori contro Fiorentina e Sassuolo, un migliaio di più contro il Lecce, per una media stagionale in casa che supera di poco i 19 mila tifosi presenti all’Arechi. L’entusiasmo dei 30mila si è visto solo contro l’Inter e quando a Salerno sono arrivate le big. La dimostrazione che quando ci sono le feste in piazza la città si ferma ma quando le cose vanno male, le cose cambiano eccome.

Una annata da dimenticare e il futuro è ancora più buio. Iervolino vuole mollare e il paracadute non basterà per pareggiare i debiti. Bisogna mettere i soldi dal proprio conto corrente. Sabatini il più grande flop. Si era presentato come il trionfatore della Patria solo perché due anni prima non era retrocesso grazie al suicidio del Cagliari, più che per meriti propri. Il calcio è cosi: fa diventare eroi anche chi non ha l’etichetta per esserlo. Walter il magnifico nei proclami: “Ci salveremo, ne sono sicuro”. Poi è sparito. Le condizioni di salute non l’hanno aiutato ed è anche per questo non si possono accettare certi incarichi se non puoi restare al fianco della squadra. Sabatini andrà in pensione segnato dal grande bluff. Non solo non ha inciso ma ha peggiorato un malato già grave. Esonerare Inzaghi e fargli la guerra interna è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso granata. Addio alla Serie A, con due anni di ritardo.

Michele Criscitiello

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