Secondo, terzo, primo. Due Coppe Italia e tre Supercoppe. Poi la finale di Istanbul in Champions, adesso Simone Inzaghi può finalmente festeggiare lo scudetto con la sua Inter. Ci sono stati momenti in cui i nerazzurri hanno sofferto, perdendo anche la bussola (non quest’anno). Ma il tecnico ha saputo dare un’identità ben precisa al gruppo, fornendo un imprinting pressoché perfetto.
Sul piano del gioco è stato un vero e proprio capolavoro: Hakan Calhanoglu posizionato regista, Henrikh Mkhitaryan instancabile, Federico Dimarco un jolly che Inzaghi ha instradato verso vette sempre più elevate. Matteo Darmian ha saputo fermare i grandi ‘dieci’ che ha affrontato; poi in avanti le difese hanno sempre dovuto fare qualche preghiera per fermare Lautaro Martinez e Marcus Thuram. Ansioso e circospetto una volta, ora Inzaghi in panchina è l’uomo degli impulsi e della carica.
Supera il limite della linea tecnica tante volte, il dna dell’Inter è stato elevato da Simone Inzaghi: rotazioni complementari, correzioni individuali e collettive, analis continue e la creazione dello spirito di gruppo sempre molto rilevante nell’economia delle vittorie. E questo successo è soprattutto suo, il leader di un gruppo meraviglioso.
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