Una delle citazioni che concepisco maggiormente è quella di Oscar Wilde, e recita “nel bene o nel male purché se ne parli”. In tal senso, gli ultimi giorni di Alfa Romeo potrebbero racchiudere concettualmente tutte le possibili sfumature di questa frase.
Dal tardo pomeriggio di mercoledì 10 aprile, da quando la nuova B-SUV e prima auto elettrica di casa Alfa è stata svelata, in anteprima e alla presenza (Sportitalia compresa) della stampa internazionale, quest’ultima ha letteralmente cannibalizzato la scena automobilistica italiana come in pochi altri casi a memoria, recente, di chi vi scrive.
Estimatori, detrattori, complottisti dell’auto ed interventisti della comunicazione, tutti hanno espresso il loro parere, usando in tanti casi la sciabola invece del fioretto, non risparmiando colpi di bastone a ben più morbide carezze.
In tal senso, l’affondo da “copertina” è stato senza dubbio quello del ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso, che facendo riferimento alla legge dell’Italian Sounding, datata 2003, che impedisce di assegnare indicazioni che inducano in errore il consumatore, ha commentato laconico: “…un’auto chiamata Milano non può essere prodotta in Polonia” (nello stabilimento di Tichy nello specifico, ndr).
Un polverone, inevitabile, che ha finito col sommergere ulteriormente una vettura che aveva già diviso e smobilitato in pochi giorni chilometri di inchiostro, vagonate di post e commenti sui social. Creando fazioni contrapposte pronte a sfidarsi in accesi confronti verbali.
Un’incessante e massiccia girandola comunicativa che tuttavia doveva, ancora, toccare il proprio apice. Nel pomeriggio di lunedì 15 aprile la decisione ufficiale: addio Milano e benvenuto Junior. Un cambio nome che riporta il sereno, almeno sull’argomento, tra il primo gruppo automobilistico del mercato italiano e le istituzioni. Tanto che lo stesso Urso, attore tutt’altro che non-protagonista della faccenda, ha chiosato compiaciuto “è un segnale di piena collaborazione tra l’azienda Stellantis e l’Italia”.
Una settimana intensa, in cui capire da quale parte siano le ragioni e i torti è complicato, tanto quanto a parere di chi scrive identificare vincitori e vinti. In fin dei conti, forse, aveva ragione Oscar Wilde: non importa come, l’importante è che se ne parli.
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