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Calcio

ESCLUSIVA SI Piovaccari, il Pifferaio suona ancora: “Ma a giugno smetto: farò l’agente”

Nel risponderci al telefono, Federico Piovaccari, di anni 39, ci fa capire di trovarsi in palestra: “Qui ci alleniamo 3 volte la settimana: gli altri due giorni faccio da me” – scherza lui, che anche al San Cristobal vuole fare più gol possibile da qui a giugno, per suonare ancora il piffero, come da sua celebre esultanza. Da gennaio infatti il centravanti giramondo ha scelto di ritornare ancora una volta in Spagna, in Catalogna.

L’attaccante si è raccontato ai microfoni di SPORTITALIA, parlandoci delle sue intenzioni per il futuro.

Quanta voglia hai ancora di fare gol?

“Tanta, è lo stimolo principale alla mia età per continuare a divertirmi come ho sempre fatto. Per noi calciatori la prima regola deve essere questa, perché da bambini iniziamo per questo. Arrivato ad una certa età poi il fisico non regge più come una volta, però la voglia prevale su tutto. Continuo a stare bene, anche se in categorie più basse”.

Era da un po’ che mancavi dalla Spagna, cui sei legato a doppio filo.

“Sì, ma volevo tornare dato che la mia famiglia vive qui, sono sposato con una spagnola ed i miei figli sono grandi, Andreas ha 16 anni e Alex 14. Quando sono andato a Giuliano loro per ovvie ragioni sono rimasti qui, stare lontano pesa un bel po’. Sono riuscito a trovare una sistemazione più vicino a casa ed ho accettato”.

Anche se i tuoi figli sono grandi, la tua esultanza da Pifferaio (ispirata a Spongebob) è rimasta quella?

“Sicuro, il Piffero suona ancora!”.

Quando nacque esattamente?

“A Cittadella, lo dedicai ad Andreas”.

Pensi già al dopo?

“Sto studiando per fare l’agente Fifa, il procuratore. Spero di passare l’esame e se tutto va bene in estate appenderò le scarpe al chiodo iniziando la carriera. Ad oggi mi diverto giocando, ma sì sto pensando già al futuro e voglio continuare in questo sport, mi ci vedo a fare il procuratore”.

E magari scoprire un nuovo Piovaccari?

“Me lo auguro (ride, n.d.r.). Il calcio è la mia grande passione e ci metterò tutta la voglia che ci ho messo da calciatore”.

Rimanendo nei confini nazionali, è quella di Cittadella l’esperienza cui ti sei espresso meglio esplodendo nel calcio?

“Calcisticamente i calciatori vengono ricordati o quando fanno benissimo, o malissimo, ma per me tutte le esperienze fatte, sia in Italia che all’estero, le porto con me, dentro. Mi hanno fatto crescere e maturare, soprattutto quando cambi culture e Paesi. Cittadella mi ha dato come un trampolino di lancio per entrare nel calcio che conta, ma anche gli anni prima sono sempre andato in doppia cifra in Serie C. Le esperienze come dicevo le porto dentro tutte, anche quelle che non sono andate come speravo, poi in quelle situazioni si sono trovati anche calciatori di primissimo livello, perché il rendimento di un giocatore dipende da tanti fattori, le colpe non sono mai di uno solo e magari non si incastra il puzzle”.

Qual è stato il Paese dove è stato più complicato adattarsi subito e fare gol?

“Sono riuscito a fare gol in tutti i continenti in cui sono stato, in Australia ho avuto un po’ di difficoltà in più, per la lingua ed il fatto che sono un po’ più chiusi. Il calcio lì poi è molto fisico e non erano molto aperti ad altri modi di interpretare il gioco, è stato più difficoltoso. Poi ho avuto un infortunio ed ho giocato poco. E’ vero che la Romania è stato il primo Paese nel quale sono andato uscendo dall’Italia, ma lì c’erano il direttore sportivo, il medico, il massaggiatore e qualche compagno che parlava italiano”.

Il gol cui sei rimasto più legato?

“Domanda da un milione di euro, ma è impossibile rispondere. Sono diversi, fatti in momenti diversi e importanti in quel momento. Per esempio ti cito il primo gol fatto in B con la Triestina, in quel frangente ho realizzato un sogno. In C ho avuto la fortuna di fare la rete della vittoria al mio esordio. Quello che mi ha fatto più emozionare però è probabilmente quello fatto con lo Steaua Bucarest, contro il Legia Varsavia, in una partita di qualificazione alla Champions, giocando davanti a 50mila persone. E’ stato il massimo. Così come aver segnato all’Atletico Madrid, e ci metto pure la traversa colta contro il Barcellona. Ci sono tanti ricordi”.

In Liga hai potuto calcare campi importanti: sognavi ad occhi aperti?

“Sicuramente, così come ascoltare l’inno della Champions dal campo, per una volta. Lì ho ripensato a quando sognavo da bambino ed un brivido mi è venuto. La Liga è stato il livello top cui sono arrivato”.

I tifosi che ti scrivono e cercano di più?

“Quelli dello Steaua anche per numerosità come popolo continuano a seguirmi tanto, ma ho lasciato bei ricordi un po’ ovunque spero. Anche a Giuliano, Cava de’ Tirreni ultimamente. Poi Cittadella, Eibar in Spagna. Sono fiero della mia carriera, nella quale ho un solo cruccio”.

Quale?

“Quello di non aver sfruttato al massimo l’occasione avuta con la Sampdoria. Non si è incastrato tutto come doveva e c’era stata la possibilità anche di tornare dopo l’esperienza all’Eibar. Non ci siamo accordati e sono andato in Australia. Il rimpianto è di non aver avuto una seconda chance, ma sono contentissimo della carriera che ho fatto”.

Daniele Najjar

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