Mai come quest’anno il Napoli non vede l’ora che questa stagione arrivi al termine. Un’annata horror gestita in modo pessimo. Dopo la vittoria dello scudetto, riportato alle pendici del Vesuvio trentatré anni dopo l’ultima volta, tutti speravano che un nuovo ciclo potesse vedere la luce dopo periodi di buio oscuro. Da giugno in poi, però, una serie di scelte sbagliate ha portato la formazione partenopea sull’orlo del baratro e ora, a inizio aprile, l’ultimo obiettivo pare ormai sfumato. La qualificazione alla prossima Champions League, invece, è sempre più lontana dopo la pesante sconfitta interna contro l’Atalanta e il conseguente passo in avanti di Bologna, Atalanta e Roma.
Quando le cose vanno così male le colpe non sono mai di un singolo soggetto, è chiaro però che Aurelio De Laurentiis ci abbia messo il carico da novanta. Ha ragionato, forse, troppo da imprenditore e poco da presidente di una squadra di calcio, che dopo i pesanti addii di Luciano Spalletti e Cristiano Giuntoli avrebbe avuto bisogno di una seria rifondazione e programmazione. Una squadra ha bisogno di un direttore sportivo che abbia la giusta capacità di costruzione, soprattutto quando una squadra ha bisogno di aprire un ciclo e premere il tasto reset. Questo, però, non è successo, e De Laurentiis si è trovato a dover gestire una situazione che di gestibile non aveva nulla.
Tre allenatori cambiati, i primi due che non hanno avuto alcuna influenza su una squadra che ormai sembra scollegata e lontana parente da quella che l’anno scorso ha incantato l’intera Penisola. Questa stagione deve servire da esempio: serve una gestione corretta sin dagli albori, perché una squadra ha bisogno di logica. Scelte sbagliate in campo ma anche fuori, errori di comunicazione che dovevano essere evitati: al Napoli serve una vera e propria rivoluzione, De Laurentiis deve esserne consapevole. Per evitare altri disastri.
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