La condizione naturale del tifoso è l’amara delusione, scriveva Nick Hornby. Lo è senz’altro, oggi, per Napoli e Juve, perfettamente calate nel crepaccio di una crisi trasversale e apparentemente senza fine. Una crisi differente e dalla sintomatologia fluttuante sul piano temporale. Spalmata su più di tre anni per i bianconeri, convogliata negli ultimi nauseanti mesi per lo sbalzo di altitudine. Dal tetto d’Italia al tortuoso incipit del sentiero verso l’Europa. La crisi di Juve e Napoli ha in comune forse solo la contemporaneità del picco e la violenza con cui si è abbattuta su questa stagione.
Ai piedi del Vesuvio i primi sintomi sono arrivati subito dopo la consegna della Scudetto al Maradona. Le cene tra De Laurentiis e Spalletti, la speranza di poter continuare ancora insieme frantumata da tanti silenzi e troppi dubbi. Lì il rigagnolo della crisi è diventato torrente, erodendo gli argini decisione sbagliata dopo decisione sbagliata. In campo e fuori dal campo, nella gestione comunicativa e nella guerra indiscriminata dichiarata a ogni confine. La somma degli addendi è questo presente doloroso. Senza entusiasmo e senza risultati. Con l’illusione di una rinascita spazzata via dall’ultimo mese. Da Barcellona a Milano, arrivando alla disfatta con l’Atalanta.
Per la Juventus l’entusiasmo non è mai esploso e la speranza è sempre stata molto cauta, perché difficilmente si sono viste prove convincenti. Quel fragile ottimismo è vacillato contro l’Empoli, crollato contro l’Inter, vaporizzato definitivamente con la sconfitta in casa contro l’Udinese. 7 punti in 9 partite sono la copertina splatter della crisi bianconera. E se Rugani non avesse interrotto l’apnea della Juve contro il Frosinone, parleremmo più di due mesi senza vittorie. Ma anche così, è evidente che non possa bastare.
Più che una riforma, servirà una rivoluzione. Non armata ma capillare, tanto a Torino quanto a Napoli. Perché dopo una stagione simile, cambiare diventa un obbligo più che una scelta.