Claudio Lotito parla spesso di “famiglia”. Aggiunge che la Lazio è un “un gruppo coeso”, le solite parole da una vita. Non sapendo, forse, che bisogna passare dalla teoria alla pratica, altrimenti le chiacchiere stanno a zero. La “famiglia” e le belle parole devono essere accompagnate dai gesti. E quanto fatto da Lotito non rappresenta il massimo: la sera prima parla di “traditori”, il giorno dopo aggiunge che “i nomi deve farli Sarri”. Dopo essersi presentato a notte fonda a Formello nel giorno delle dimissioni dell’allenatore, Lotito memorizzi che possono pendere dalle sue labbra soltanto quelli che non approfondiscono. La sua sfida a Sarri aveva avuto inizio la scorsa estate, durante il ritiro di Auronzo, basterebbe andare in archivio e controllare. Poi è andato avanti senza soluzione di continuità, malgrado avesse la cassa piena tra secondo posto in campionato, qualificazione in Champions e in Supercoppa italiana. Lotito sottolinea di aver speso 100 milioni, ma non dice quanti ne ha incassati: i soldi spesi sono davvero spesi dopo aver fatto la sottrazione con quelli guadagnati. Non è un caso che De Laurentiis e Lotito abbiano il peggiore saldo in classifica rispetto alla scorsa stagione, sono fatti. Tudor può essere la scelta giusta per la Lazio in modo da ripristinare un minimo di ordine. C’è gente che guadagna 4 milioni a stagione e passa senza che il rendimento giustifichi il 40 per cento di quella cifra.
A margine di questo discorso, segnaliamo le dichiarazioni del signor Bruno Giordano: purtroppo non il grande filosofo, scrittore e predicatore vissuto nel XVI secolo, ma l’ex allenatore collezionista di esoneri. Dice il signor Bruno Giordano: “Da Sarri mi sarei aspettato un pensiero, una lettera, un messaggio da rivolgere ai tifosi biancocelesti. Ha parlato di lazialità, ha fatto riferimento a Maestrelli, non dire nulla ora mi è sembrata una scorrettezza”. Questo è il mondo di oggi: scorrettezza, non sapendo che Sarri ha lasciato i soldi sul tavolo e che ora vive difficilissimi momenti personali. Questa, per la cronaca, gran parte della carriera da allenatore del signor Bruno Giordano: Tivoli (esonerato), Lecco (esonerato), L’Aquila (esonerato), Catanzaro (esonerato), Messina (esonerato due volte nella stessa stagione…), Pisa (retrocesso), Ternana (retrocesso ed esonerato), Ascoli (esonerato). Fossimo in Giordano, nella sua prossima vita in panchina (a proposito: la associazione di Ulivieri dov’è? Certe parole non sono ammissibili) vorremmo leggere una volta in più la parola “dimissionario” e una volta in meno la parola “esonerato”. Dice il signor Bruno Giordano: “Io non avrei lasciato a 10 giornate dalla fine”. Certo, basta guardare il curriculum dove, per fortuna, i congiuntivi non sono ammessi.
Francesco Acerbi ha sbagliato tempistica e diventa patetico, senza fare troppi giri di parole. Se Juan Jesus dice “mi ha detto negro, ma per me finisce lì, ho accettato le scuse, è un bravo ragazzo”, mettiamoci il punto e andiamo a capo. E diventa inutile che l’agente di Acerbi scenda in campo per raccontarci chi è il ragazzo che assiste. Acerbi avrebbe dovuto fare una cosa: presentarsi in sala stampa, dopo Inter-Napoli e magari in compagnia proprio di Juan Jesus, per dichiarare che aveva fatto una cazzata e che si era pentito al 110 per cento. Oppure per prendere le distanza, a caldo non facendo trascorrere quasi 24 ore. In sala stampa, non alla stazione centrale di Milano il giorno dopo. Non l’ha fatto, un’omissione poco banale, non c’è bisogno che parli l’agente al posto suo. Se Spalletti l’ha momentaneamente escluso, pur con tutte le motivazioni plausibili, un motivo ci sarà. Semplicemente questo: Acerbi ha sbagliato. E la reazione di Juan Jesus la comprendiamo anche: alla negazione di qualsiasi insulto razzista, quasi 24 ore dopo, Juan si sente raggirato. Nessuno farà diventare un criminale il difensore dell’Inter, ci mancherebbe altro. Piuttosto, è giusto che sconti la squalifica se ci saranno tutte le prove, senza sprecare altre parole, noi con le chiacchiere siamo fenomeni. Se non accadesse, sempre in presenza di riscontri veri, D’Aversa continuerebbe a essere – in modo sproporzionato – il mostro, tutti gli altri teneri agnellini.
La lite tra Allegri e un opinionista Sky non vogliamo cavalcarla, ci sono immagini che parlano chiare, sentenze. Questo è il risultato quando un allenatore non è abituato alle domande scomode, alla prima o alla seconda reagisce così. Si chiama sopportazione, non quella di Allegri ma della gente Juve che da 33 mesi deve sorbirsi questo scempio tecnico-tattico. Alla Juve resta una strada: cambiare in ogni caso, anche se dovesse arrivare l’unico trofeo (la Coppa Italia) dei 36 mesi con Allegri per un totale di circa 45 milioni lordi soltanto per lui (bingo). A meno che la stessa Juve non voglia ascoltare quei sette-dieci amici che ancora lo supportano: un ex allenatore, qualche opinionista già allievo di Max, un paio di ballerini di tip-tap e uno specialista di tango, gli ultimi tre riconducibili – in fondo – alla stessa persona.